La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 29 aprile
2014
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
A guardarla da lontano, con il suo lento ruminare, non si
pensa che quel tranquillo animale sia una macchina, non molto diversa da quelle
di una fabbrica. Come una fabbrica introduce materie prime e combustibili e produce
delle cose utili; così l’erba o il mangime sono le materie prime per il
“funzionamento” della mucca che, con la combustione degli alimenti nel suo
corpo, vive e produce il latte che arriverà poco dopo sulla nostra tavola. Come
una fabbrica “butta fuori” nell’ambiente una parte delle materie in entrata
sotto forma di gas e rifiuti e scorie, così anche la mucca, nel suo processo
vitale quotidiano butta nell’ambiente gas, urina ed escrementi.
L’esame della storia naturale della mucca fornisce alcune utili
informazioni; non è facile redigere una contabilità per gli esseri viventi
perché i 1.300 milioni di bovini esistenti nel mondo, 6 milioni in Italia, sono
tutti diversi fra loro, ma si possono fare dei conti approssimati. Immaginiamo
una mucca ”media” che pesa 500 chili; nel corso di un anno questa mucca mangia
circa 3.000 chili di erba e mangimi, e beve circa 10.000 chili di acqua.
Qualche tempo prima, la mucca era stata fecondata e aveva partorito un vitello
per la cui alimentazione la mucca (come succede per tutti i mammiferi)
trasforma una parte del suo cibo nel latte.
Per nostra fortuna il latte della mucca è abbondante e in
eccesso rispetto alle necessità del vitello, tanto che una mucca media è in
grado di rendere disponibili a noi umani una quantità di latte, variabile, ma
che in media si può stimare di circa 6.000 litri all’anno. Si tratta di un
liquido contenente circa il 3 percento di grasso, circa il 4 percento di
proteine, circa il 6 percento di zuccheri e l’1 percento di sali dei preziosi (dal
punto di vista biologico) elementi calcio e fosforo. Insomma il latte prodotto
in un anno, col suo 14 percento di sostanze solide, contiene circa 100 chili di
sostanze nutritive, formate da quelle che erano originariamente presenti nel
cibo della mucca.
Prima di arrivare nella tazza della nostra colazione o nei
dolci, il latte deve fare un lungo cammino; trattandosi di una soluzione
instabile deve essere rapidamente analizzato, trasferito, sottoposto ad un
processo di conservazione, per lo più un riscaldamento a bassa o alta
temperatura; alla fine, dopo altri viaggi, viene inscatolato e distribuito
nelle confezioni che si trovano nel negozio. Di tutto il latte prodotto in un
paese, in Italia circa 10 milioni di tonnellate all’anno, a cui si aggiungono altri
tre milioni di tonnellate di latte importato, soltanto circa un terzo viene
avviato al consumo diretto. Il resto viene inviato nei caseifici dove viene
trasformato nei numerosissimi formaggi commerciali, dopo separazione della
maggior parte del grasso che viene commerciato come burro. La soluzione
restante viene fatta coagulare: la parte dei grassi e delle proteine insolubili
in acqua (globuline) si separa dalla soluzione acquosa in cui restano disciolti
una parte delle proteine (le albumine), e gli zuccheri. Questo liquido, il
siero, viene per lo più usato per l’alimentazione dei suini, avendo cura che
non finisca nell’ambiente dove diventerebbe fastidiosa fonte di inquinamento
delle acque.
Finora abbiamo considerato le cose utili, i “prodotti” della
fabbrica-mucca, ma una parte del cibo ingerito dalla nostra mucca, nel corso
del processo vitale viene trasformata in rifiuti gassosi: si tratta di circa
3.000 chili all’anno di anidride carbonica, immessi nell’aria con la
respirazione, e anche di una certa quantità di gas puzzolenti che fuoriescono
da una parte del corpo della mucca che non nomino; quest’ultima miscela di gas
libera nell’aria circa 100 chili all’anno di metano. Il metano è un gas che
contribuisce a modificare negativamente il clima, anzi un chilo di metano
danneggia il clima come circa 23 chili dell’altro “gas serra”, l’anidride
carbonica. Un bel po’ delle modificazioni climatiche sono quindi dovute anche
alla zootecnia: il prezzo ambientale che si deve pagare per avere carne, latte
e formaggi. Niente è gratis in natura.
Ma c’è di peggio: una mucca, come, in proporzione, qualsiasi
altro animale (umani compresi), elimina una parte dell’acqua e dei rifiuti
sotto forma di escrementi. La nostra mucca ne elimina circa 6.000 chili
all’anno; si tratta di una miscela puzzolente di sostanze liquide e solide
fangose, contenenti azoto, fosforo, molecole organiche. Quando gli allevamenti
del bestiame avevano a disposizione grandi pascoli, gli escrementi finivano nel
terreno e, decomponendosi, addirittura fornivano sostanze nutritive per il
pascolo o i successivi raccolti; insomma erano rifiuti rimessi in ciclo secondo
le buone regole ecologiche. Con gli allevamenti intensivi lo smaltimento dei
liquami degli allevamenti è diventato un problema.
Però una recente pubblicazione, a cura della professoressa
Caterina Tricase, descrive le ricerche dei merceologi dell’Università di Foggia
secondo cui è possibile evitare che i liquami zootecnici vadano ad inquinare
l’ambiente; trattandoli con microrganismi si recupera metano in forma
utilizzabile come fonte di energia: con gli escrementi della nostra mucca
“media” è possibile ottenere ogni anno circa 150 metri cubi di metano,
equivalenti più o meno a circa 150 litri di gasolio. E’ vero che il processo di
fermentazione produce anch’esso altri rifiuti gassosi e anche fanghi, ma nella
vita non si può avere tutto.
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