Benito Leoci bleoci@yahoo.it
Premessa
L’esigenza di distinguere oltre che con un nome anche con un codice o una matricola, prodotti, merci e persino persone, è molto antica, in quanto collegata alla necessità di individuare con precisione, rapidamente e senza possibilità di errori, gli stessi oggetti o persone. Esigenza accresciuta in questi ultimi tempi con la proliferazione di composti e merci di ogni genere. L’attribuzione di un codice ad una molecola, ad un’arma portatile o ad un volume risolve problemi diversi. Nel primo caso si vuole risalire alla formula e alle proprietà chimico-fisiche del composto, nel secondo si vuole individuare il proprietario dell’arma, nel terzo caso si vuole facilitare la ricerca del volume1 in una biblioteca o si intende soddisfare altre esigenze (per compilare cataloghi, per motivi contabili, ecc.). L’ultimo settore investito da un sistema di codificazione è quello dei rifiuti, come vedremo più avanti.
mercoledì 29 settembre 2010
sabato 25 settembre 2010
Afnio
2011 anno internazionale della chimica
I lettori che “battono” con le dita sulla tastiera di un computer ed esigono che sullo schermo appaia quello che si vuole, un testo, una figura, un film, quelli che sono incantati dalle proposte, sempre più frequenti, di computer a minore prezzo e sempre “più veloci”, in genere non pensano che l’efficienza e la velocità dipendono da piccolissimi straterelli di speciali materiali, i chips, nei quali sono immagazzinati i risultati di continue ricerche e perfezionamenti non solo nell’elettronica, ma anche proprio nei materiali.
Si parla della “società del silicio”, ma il silicio è solo uno dei componenti e spesso neanche il più importante, dei chips. Perfezionamenti dei semiconduttori (che sono l’anima dei chips) sono stati fatti grazie a un metallo poco noto, ma molto importante, l’afnio. La sua esistenza era stata preconizzata dal grande chimico russo Mendeleev (1834-1907): nello “scrivere”, nel 1869, la sua tabella periodica degli elementi chimici disposti in ordine di peso crescente e di somiglianza di comportamento, aveva visto che c’era un “buco” nella casella 72 che si trovava al di sotto dell’elemento zirconio che occupa la casella numero 40. Avrebbe dovuto esistere un elemento con comportamento simile a quello dello zirconio, ma Mendeleev credette che il posto vuoto fosse occupato dal lantanio.
Soltanto nel 1923 il chimico danese Dirk Coster (1889-1950) e il chimico di origine ungherese Georg von Hevesy (1885-1966, premio Nobel per la Chimica 1943) riuscirono ad isolare da alcuni minerali dello zirconio un metallo che possedeva le proprietà corrispondenti a quelle dell’elemento mancante nella casella 72 e lo chiamarono afnio, dal nome latino della capitale della Danimarca, Copenhagen.
Il metallo viene ricavato come sottoprodotto della produzione dello zirconio, con notevoli difficoltà a causa della somiglianza dei due elementi. L’afnio ha già avuto applicazioni nell’industria nucleare come rallentatore dei neutroni e in alcune altre utilizzazioni industriali; il carburo di afnio è il carburo con più elevata temperatura di fusione; le leghe di afnio sono particolarmente resistenti alla corrosione. Non si conosce la produzione mondiale di questo metallo, concentrata principalmente in Australia, Sud Africa e Cina. Alcune notizie statistiche e merceologiche si trovano nel sito del Servizio Geologico degli Stati Uniti qui USGS.
C’è da aspettarsi che la scoperta dei nuovi chips superveloci a base di semiconduttori contenenti silicato e ossido di afnio ne faccia aumentare la richiesta e la produzione e sono già state avviate attività di estrazione di minerali di zirconio, che contengono dall’uno al 5 % di afnio, nel Madagscar, nel Mozambico e in altri paesi africani.
I lettori che “battono” con le dita sulla tastiera di un computer ed esigono che sullo schermo appaia quello che si vuole, un testo, una figura, un film, quelli che sono incantati dalle proposte, sempre più frequenti, di computer a minore prezzo e sempre “più veloci”, in genere non pensano che l’efficienza e la velocità dipendono da piccolissimi straterelli di speciali materiali, i chips, nei quali sono immagazzinati i risultati di continue ricerche e perfezionamenti non solo nell’elettronica, ma anche proprio nei materiali.
Si parla della “società del silicio”, ma il silicio è solo uno dei componenti e spesso neanche il più importante, dei chips. Perfezionamenti dei semiconduttori (che sono l’anima dei chips) sono stati fatti grazie a un metallo poco noto, ma molto importante, l’afnio. La sua esistenza era stata preconizzata dal grande chimico russo Mendeleev (1834-1907): nello “scrivere”, nel 1869, la sua tabella periodica degli elementi chimici disposti in ordine di peso crescente e di somiglianza di comportamento, aveva visto che c’era un “buco” nella casella 72 che si trovava al di sotto dell’elemento zirconio che occupa la casella numero 40. Avrebbe dovuto esistere un elemento con comportamento simile a quello dello zirconio, ma Mendeleev credette che il posto vuoto fosse occupato dal lantanio.
Soltanto nel 1923 il chimico danese Dirk Coster (1889-1950) e il chimico di origine ungherese Georg von Hevesy (1885-1966, premio Nobel per la Chimica 1943) riuscirono ad isolare da alcuni minerali dello zirconio un metallo che possedeva le proprietà corrispondenti a quelle dell’elemento mancante nella casella 72 e lo chiamarono afnio, dal nome latino della capitale della Danimarca, Copenhagen.
Il metallo viene ricavato come sottoprodotto della produzione dello zirconio, con notevoli difficoltà a causa della somiglianza dei due elementi. L’afnio ha già avuto applicazioni nell’industria nucleare come rallentatore dei neutroni e in alcune altre utilizzazioni industriali; il carburo di afnio è il carburo con più elevata temperatura di fusione; le leghe di afnio sono particolarmente resistenti alla corrosione. Non si conosce la produzione mondiale di questo metallo, concentrata principalmente in Australia, Sud Africa e Cina. Alcune notizie statistiche e merceologiche si trovano nel sito del Servizio Geologico degli Stati Uniti qui USGS.
C’è da aspettarsi che la scoperta dei nuovi chips superveloci a base di semiconduttori contenenti silicato e ossido di afnio ne faccia aumentare la richiesta e la produzione e sono già state avviate attività di estrazione di minerali di zirconio, che contengono dall’uno al 5 % di afnio, nel Madagscar, nel Mozambico e in altri paesi africani.
Indio
2011 anno internazionale della chimica
Boro-Alluminio-Gallio-Indio-Tallio, così i chimici imparavano a recitare i nomi degli elementi del III “periodo”, come si chiamano le colonne della Tabella di Mendeleev. Il boro e l’alluminio si sapeva che cosa erano, ma quell’indio, dal nome fascinoso, ben pochi conoscevano.
L’indio era stato scoperto nel 1863 da Ferdinand Reich (1799-1882) e Theodor Richter (1824-1898) che lo avevano chiamato così perché emetteva radiazioni con una riga blu del colore dell’indaco; si presenta come metallo lucido, grigio argenteo, tenero ed è rimasto una curiosità per molti decenni. Nel 1925 ne esisteva nel mondo un solo grammo, estratto dalle scorie della lavorazione dei minerali di zinco; la richiesta di indio aumentò durante la seconda guerra mondiale (1939-1945) quando fu scoperto che questo metallo duttile si prestava bene come lubrificante delle bronzine dei motori da aerei veloci.
La sua produzione aumentò lentamente fino a poche tonnellate all’anno, assorbite dall’industria elettrica e nucleare, fino a quando ne fu scoperto l’uso in apparecchiature elettroniche e ne furono riconosciute le proprietà di semiconduttore. Celle fotovoltaiche solari sono costruite con fosfuro e arseniuro di indio e gallio.
Ma l’esplosione dell’uso dell’indio, soprattutto sotto forma di ossido di indio e stagno, si ebbe con l’invenzione degli schermi a cristalli liquidi per televisori e per computer. L’indio viene ottenuto industrialmente per trattamento dei sottoprodotti della lavorazione dello zinco(un esempio di recupero di merci utili dai rifiuti) e per riciclaggio dei suoi residui e la sua produzione è passata da 60 tonnellate all’anno nel 1950 alle circa 600 tonnellate all’anno nel 2008. Il principale paese produttore di indio è, come al solito, la Cina (330 t/anno), seguita da Giappone, Canada e Corea. Altre notizie statistiche e merceologiche sull'indio si trovano nel sito del Servizio geologico degli Stati Uniti, USGS.
Il mercato dell’indio è turbolento, come quello dei metalli e delle merci strategiche, le “commodities”. Il suo prezzo era di 100 dollari al chilo nel 2002 e di 1000 dollari al kg alla fine del 2005; nell’estate 2009 era sceso a 300 dollari al kg per risalire, nell'ottobre 2009 a 450 dollari al kg (circa 300 euro/kg), e salire ancora, nel settembre 2010, a 560 dollari/kg (circa 430 €/kg). Si può seguire l'andamento dei prezzi dell'indio qui. Questa turbolenza è dovuta al costo di produzione, alla paura che la disponibilità futura di indio sia limitata (alcuni parlano di riserve per pochi anni) rispetto alle richieste del mercato dell’elettronica di largo consumo, ma anche al fatto che altri metalli potrebbero sostituirlo in molte applicazioni: l’afnio nelle barre di controllo dei reattori nucleari, l’arseniuro di gallio nelle celle solari.
Abbastanza curiosamente una piccola produzione di indio si è avuta in Italia nella raffineria di zinco di Crotone, quella le cui scorie tossiche sono sepolte nel sottosuolo di scuole e strade della città calabrese. Nel 1990 la società Pertusola di Crotone ha prodotto 11 tonnellate di indio, nel 1992 20 tonnellate, dal 1995 la produzione è cessata e lo stabilimento è stato chiuso, proprio nel momento in cui aumentava la richiesta di questo metallo. Un altro caso di previsioni merceologiche sbagliate.
Boro-Alluminio-Gallio-Indio-Tallio, così i chimici imparavano a recitare i nomi degli elementi del III “periodo”, come si chiamano le colonne della Tabella di Mendeleev. Il boro e l’alluminio si sapeva che cosa erano, ma quell’indio, dal nome fascinoso, ben pochi conoscevano.
L’indio era stato scoperto nel 1863 da Ferdinand Reich (1799-1882) e Theodor Richter (1824-1898) che lo avevano chiamato così perché emetteva radiazioni con una riga blu del colore dell’indaco; si presenta come metallo lucido, grigio argenteo, tenero ed è rimasto una curiosità per molti decenni. Nel 1925 ne esisteva nel mondo un solo grammo, estratto dalle scorie della lavorazione dei minerali di zinco; la richiesta di indio aumentò durante la seconda guerra mondiale (1939-1945) quando fu scoperto che questo metallo duttile si prestava bene come lubrificante delle bronzine dei motori da aerei veloci.
La sua produzione aumentò lentamente fino a poche tonnellate all’anno, assorbite dall’industria elettrica e nucleare, fino a quando ne fu scoperto l’uso in apparecchiature elettroniche e ne furono riconosciute le proprietà di semiconduttore. Celle fotovoltaiche solari sono costruite con fosfuro e arseniuro di indio e gallio.
Ma l’esplosione dell’uso dell’indio, soprattutto sotto forma di ossido di indio e stagno, si ebbe con l’invenzione degli schermi a cristalli liquidi per televisori e per computer. L’indio viene ottenuto industrialmente per trattamento dei sottoprodotti della lavorazione dello zinco(un esempio di recupero di merci utili dai rifiuti) e per riciclaggio dei suoi residui e la sua produzione è passata da 60 tonnellate all’anno nel 1950 alle circa 600 tonnellate all’anno nel 2008. Il principale paese produttore di indio è, come al solito, la Cina (330 t/anno), seguita da Giappone, Canada e Corea. Altre notizie statistiche e merceologiche sull'indio si trovano nel sito del Servizio geologico degli Stati Uniti, USGS.
Il mercato dell’indio è turbolento, come quello dei metalli e delle merci strategiche, le “commodities”. Il suo prezzo era di 100 dollari al chilo nel 2002 e di 1000 dollari al kg alla fine del 2005; nell’estate 2009 era sceso a 300 dollari al kg per risalire, nell'ottobre 2009 a 450 dollari al kg (circa 300 euro/kg), e salire ancora, nel settembre 2010, a 560 dollari/kg (circa 430 €/kg). Si può seguire l'andamento dei prezzi dell'indio qui. Questa turbolenza è dovuta al costo di produzione, alla paura che la disponibilità futura di indio sia limitata (alcuni parlano di riserve per pochi anni) rispetto alle richieste del mercato dell’elettronica di largo consumo, ma anche al fatto che altri metalli potrebbero sostituirlo in molte applicazioni: l’afnio nelle barre di controllo dei reattori nucleari, l’arseniuro di gallio nelle celle solari.
Abbastanza curiosamente una piccola produzione di indio si è avuta in Italia nella raffineria di zinco di Crotone, quella le cui scorie tossiche sono sepolte nel sottosuolo di scuole e strade della città calabrese. Nel 1990 la società Pertusola di Crotone ha prodotto 11 tonnellate di indio, nel 1992 20 tonnellate, dal 1995 la produzione è cessata e lo stabilimento è stato chiuso, proprio nel momento in cui aumentava la richiesta di questo metallo. Un altro caso di previsioni merceologiche sbagliate.
sabato 18 settembre 2010
Folium: rivista di Merceologia, Ambiente e Lavoro
2011 Anno internazionale della chimica
E' uscito il fascicolo del 2° trimestre, aprile-giugno 2010, vol. 10, della rivista Folium, già ricordata in questo Notiziario: http://notiziario-di-merceologia.blogspot.com/2010/04/folium-rivista-di-merceologia-ambiente.html qui
Un lungo articolo del prof. Vincenzo Riganti dell'Università di Pavia riferisce sull'indagine svolta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità OMS e dall'Unicef (l'agenzia delle Nazioni Unite per l'assistenza all'infanzia) sui problemi idrici a livello mondiale.
Altri contributi riguardano la normativa nazionale e comunitaria sulla lotta agli inquinamenti, sull'uso delle fonti energetiche rinnovabili, sulle sostanze pericolose e sulla prevenzione di incendi e incidenti nell'industria e in edilizia.
E' uscito il fascicolo del 2° trimestre, aprile-giugno 2010, vol. 10, della rivista Folium, già ricordata in questo Notiziario: http://notiziario-di-merceologia.blogspot.com/2010/04/folium-rivista-di-merceologia-ambiente.html qui
Un lungo articolo del prof. Vincenzo Riganti dell'Università di Pavia riferisce sull'indagine svolta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità OMS e dall'Unicef (l'agenzia delle Nazioni Unite per l'assistenza all'infanzia) sui problemi idrici a livello mondiale.
Altri contributi riguardano la normativa nazionale e comunitaria sulla lotta agli inquinamenti, sull'uso delle fonti energetiche rinnovabili, sulle sostanze pericolose e sulla prevenzione di incendi e incidenti nell'industria e in edilizia.
venerdì 17 settembre 2010
Il dottor Ure, un merceologo poco presentabile
2011 anno internazionale della chimica
Andrew Ure (1778-1857)
Giorgio Nebbia
Permettetemi di presentarvi il dottor Andrew Ure (1778-1857), chimico e merceologo di grande prestigio nell'Inghilterra della prima metà dell'Ottocento, autore di numerosi trattati e di una enciclopedia dei prodotti industriali, anticipatore di quella ”scienza” al servizio della manifatture capitalistiche, pronta a minimizzare i motivi di qualsiasi richiesta, da parte dei lavoratori e dei cittadini, del riconoscimento del diritto alla salute.
La sua storia è importante perché l’”ineffabile dottor Ure”, come lo chiama Marx nel celebre tredicesimo capitolo del primo libro del “Capitale”, ha generato innumerevoli discepoli che ancora oggi sono pronti a minimizzare i pericoli della fabbrica, gli effetti degli inquinamenti, i danni delle sostanze radioattive.
Andrew Ure (1778-1857)
Giorgio Nebbia
Permettetemi di presentarvi il dottor Andrew Ure (1778-1857), chimico e merceologo di grande prestigio nell'Inghilterra della prima metà dell'Ottocento, autore di numerosi trattati e di una enciclopedia dei prodotti industriali, anticipatore di quella ”scienza” al servizio della manifatture capitalistiche, pronta a minimizzare i motivi di qualsiasi richiesta, da parte dei lavoratori e dei cittadini, del riconoscimento del diritto alla salute.
La sua storia è importante perché l’”ineffabile dottor Ure”, come lo chiama Marx nel celebre tredicesimo capitolo del primo libro del “Capitale”, ha generato innumerevoli discepoli che ancora oggi sono pronti a minimizzare i pericoli della fabbrica, gli effetti degli inquinamenti, i danni delle sostanze radioattive.
Chimica è parolaccia ?
2011 anno internazionale della chimica
Villaggio Globale (Bari), 5, (19), 11-16 (settembre 2002)
La Chimica e l'Industria, p. 96-99, luglio/agosto 2011
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Parlare di chimica è spesso come presentare nella buona società una sorella dai trascorsi burrascosi. "Chimica" è parola sgradevole per molti orecchi, soprattutto poco informati, per vari motivi apparentemente contrastanti.
Il primo è rappresentato dal modo in cui i grandi mezzi di informazione parlano di cose nelle quali la chimica è coinvolta; non ci mancavano altro che gli attentati con "armi chimiche", in aggiunta agli incidenti "chimici", all'uso sconsiderato della "chimica" in agricoltura, eccetera, per enfatizzare qualsiasi cosa sgradevole associandola all'aggettivo "chimico". Non c'è dubbio che incidenti industriali, intossicazione di lavoratori nella fabbriche, inquinamenti dell'ambiente hanno luogo spesso in fabbriche chimiche o che trattano prodotti chimici e ad opera di sostanze chimiche. Non c'è dubbio che molte fabbriche producono sostanze pericolose, talvolta inutili, talvolta oscene come gli agenti di guerra, dai gas asfissianti a quelli lacrimogeni e paralizzanti.
Villaggio Globale (Bari), 5, (19), 11-16 (settembre 2002)
La Chimica e l'Industria, p. 96-99, luglio/agosto 2011
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Parlare di chimica è spesso come presentare nella buona società una sorella dai trascorsi burrascosi. "Chimica" è parola sgradevole per molti orecchi, soprattutto poco informati, per vari motivi apparentemente contrastanti.
Il primo è rappresentato dal modo in cui i grandi mezzi di informazione parlano di cose nelle quali la chimica è coinvolta; non ci mancavano altro che gli attentati con "armi chimiche", in aggiunta agli incidenti "chimici", all'uso sconsiderato della "chimica" in agricoltura, eccetera, per enfatizzare qualsiasi cosa sgradevole associandola all'aggettivo "chimico". Non c'è dubbio che incidenti industriali, intossicazione di lavoratori nella fabbriche, inquinamenti dell'ambiente hanno luogo spesso in fabbriche chimiche o che trattano prodotti chimici e ad opera di sostanze chimiche. Non c'è dubbio che molte fabbriche producono sostanze pericolose, talvolta inutili, talvolta oscene come gli agenti di guerra, dai gas asfissianti a quelli lacrimogeni e paralizzanti.
domenica 12 settembre 2010
L'anno delle fibre naturali SM 3025
La Gazzetta del Mezzogiorno, giovedì 22 gennaio 2009
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Le fibre tessili naturali sono materiali filamentosi ricavati da moltissime piante e da vari animali. Le fibre naturali di origine vegetale, costituite principalmente da cellulosa, si distinguono in fibre del seme (cotone), in fibre del fusto (canapa, lino, iuta, kenaf, ginestra), fibre del frutto (cocco), fibre delle foglie (sisal, agave, abaca); le fibre di origine animale, costituite da proteine, sono la seta e quelle del vello di pecore, capre, lama, cammelli, vigogne, conigli angora, eccetera. Nel 1960 la produzione di fibre naturali era di 12 milioni di tonnellate contro tre milioni di tonnellate di fibre sintetiche; nel 1994 la produzione di fibre sintetiche è salita a 20 milioni di tonnellate, uguale a quella delle fibre naturali. Nel 2008 la produzione mondiale di fibre sintetiche è salita ancora a circa 40 milioni di tonnellate, mentre quella delle fibre naturali è stata di appena 30 milioni di tonnellate. Un auspicabile aumento della produzione delle fibre naturali, rinnovabili, aiuterebbe molte attività agricole e zootecniche, e contribuirebbe allo sviluppo economico e sociale di molti paesi poveri. Anche le caratteristiche merceologiche dei filati e dei tessuti sono a favore delle fibre naturali.
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Le fibre tessili naturali sono materiali filamentosi ricavati da moltissime piante e da vari animali. Le fibre naturali di origine vegetale, costituite principalmente da cellulosa, si distinguono in fibre del seme (cotone), in fibre del fusto (canapa, lino, iuta, kenaf, ginestra), fibre del frutto (cocco), fibre delle foglie (sisal, agave, abaca); le fibre di origine animale, costituite da proteine, sono la seta e quelle del vello di pecore, capre, lama, cammelli, vigogne, conigli angora, eccetera. Nel 1960 la produzione di fibre naturali era di 12 milioni di tonnellate contro tre milioni di tonnellate di fibre sintetiche; nel 1994 la produzione di fibre sintetiche è salita a 20 milioni di tonnellate, uguale a quella delle fibre naturali. Nel 2008 la produzione mondiale di fibre sintetiche è salita ancora a circa 40 milioni di tonnellate, mentre quella delle fibre naturali è stata di appena 30 milioni di tonnellate. Un auspicabile aumento della produzione delle fibre naturali, rinnovabili, aiuterebbe molte attività agricole e zootecniche, e contribuirebbe allo sviluppo economico e sociale di molti paesi poveri. Anche le caratteristiche merceologiche dei filati e dei tessuti sono a favore delle fibre naturali.
venerdì 10 settembre 2010
Georg Bauer, un merceologo del Cinquecento
2011 anno internazionale della chimica
"I critici affermano che le attività minerarie e metallurgiche danneggiano gli alberi e i campi, da cui pure si ottengono cibo e legname, e distruggono gli uccelli che forniscono carne pregiata e rallegrano l'animo col loro canto". Questa frase, che sembra tratta da uno dei tanti dibattiti odierni sugli effetti dell'industria sull'ambiente, è invece stata scritta quasi mezzo millennio fa da Georg Bauer, detto Agricola, di cui si celebra quest'anno il cinquecentesino anniversario della nascita.
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Merceologia e chimica: cugine o sorelle ?
2011: anno internazionale della chimica
In: P.Riani (a cura di), “Fondamenti metodologici ed epistemologici, storia e didattica della chimica. Massa-Carrara 2003-2004”, Pisa, Dipartimento di Chimica e Chimica industriale, 2005, p. 218-242
Giorgio Nebbia
Quelle di cui stiamo cercando la parentela sono la merceologia e la chimica, due discipline, ma, direi, due modi di vedere il mondo, abbastanza imparentate anche se l'allontanamento si è fatto più visibile nel mondo accademico e col passare del tempo.
Fin dai tempi più antichi gli esseri umani hanno sentito la necessità di soddisfare i propri bisogni --- cibo, acqua, difesa del corpo contro il freddo, abitazione, movimento --- con oggetti materiali tratti dalla natura. Si trattava di vegetali o animali, di fibre tessili, di pietre, di sale ricavato dal mare; a mano a mano che le società umane si sono organizzate e che sono aumentati i bisogni, l'estrazione e trasformazione dei corpi della natura si sono fatte sempre più raffinate. D'altra parte ciascuna persona non poteva sapere tutto del mondo delle cose, però ciascuna ha raccontato ad altre quanto sapeva e ha appreso da altre le conoscenze sulla natura; forse è stato proprio questo scambio continuo che ha caratterizzato l'evoluzione degli esseri umani verso forme sempre più simili a quelle che conosciamo oggi.
In: P.Riani (a cura di), “Fondamenti metodologici ed epistemologici, storia e didattica della chimica. Massa-Carrara 2003-2004”, Pisa, Dipartimento di Chimica e Chimica industriale, 2005, p. 218-242
Giorgio Nebbia
Quelle di cui stiamo cercando la parentela sono la merceologia e la chimica, due discipline, ma, direi, due modi di vedere il mondo, abbastanza imparentate anche se l'allontanamento si è fatto più visibile nel mondo accademico e col passare del tempo.
Fin dai tempi più antichi gli esseri umani hanno sentito la necessità di soddisfare i propri bisogni --- cibo, acqua, difesa del corpo contro il freddo, abitazione, movimento --- con oggetti materiali tratti dalla natura. Si trattava di vegetali o animali, di fibre tessili, di pietre, di sale ricavato dal mare; a mano a mano che le società umane si sono organizzate e che sono aumentati i bisogni, l'estrazione e trasformazione dei corpi della natura si sono fatte sempre più raffinate. D'altra parte ciascuna persona non poteva sapere tutto del mondo delle cose, però ciascuna ha raccontato ad altre quanto sapeva e ha appreso da altre le conoscenze sulla natura; forse è stato proprio questo scambio continuo che ha caratterizzato l'evoluzione degli esseri umani verso forme sempre più simili a quelle che conosciamo oggi.
mercoledì 8 settembre 2010
Dove troveremo tutto il petrolio
La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 7 settembre 2010
Dove troveremo tutto il petrolio per far camminare mille milioni di autoveicoli, che aumentano in ragione di circa 50 milioni all’anno ? Finora il pericolo di un impoverimento delle riserve mondiali di petrolio è stato oggetto di analisi da alcuni “pessimisti”; altri, ancora più pessimisti, hanno ricordato le previsioni fatte nel 1956 da un certo Hubbert secondo cui si sta avvicinando, o si è già verificato, un “picco” nella quantità di petrolio estratto dalle riserve, al di là del quale non sarà facile, forse neanche possibile, far aumentare la quantità di petrolio prodotta ogni anno, oggi circa 4300 milioni di tonnellate. “Il picco” non dice che il petrolio mancherà, ma che ce ne sarà sempre di meno disponibile nelle viscere della Terra.
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Dove troveremo tutto il petrolio per far camminare mille milioni di autoveicoli, che aumentano in ragione di circa 50 milioni all’anno ? Finora il pericolo di un impoverimento delle riserve mondiali di petrolio è stato oggetto di analisi da alcuni “pessimisti”; altri, ancora più pessimisti, hanno ricordato le previsioni fatte nel 1956 da un certo Hubbert secondo cui si sta avvicinando, o si è già verificato, un “picco” nella quantità di petrolio estratto dalle riserve, al di là del quale non sarà facile, forse neanche possibile, far aumentare la quantità di petrolio prodotta ogni anno, oggi circa 4300 milioni di tonnellate. “Il picco” non dice che il petrolio mancherà, ma che ce ne sarà sempre di meno disponibile nelle viscere della Terra.
giovedì 2 settembre 2010
Roberto Salvadori (1873-1940). Persone della Merceologia
Roberto Salvadori: professore e merceologo
Nicoletta Nicolini
Università degli Studi La Sapienza, Roma
Tra i molti libri che possedeva mio padre ce n’era uno cui teneva moltissimo. Un piccolo libretto dal titolo Nozioni di chimica che gli aveva regalato Agostino Berti[1] la cui dedica recita “all’amico carissimo, Nicolini Luigi, conosciuto durante il servizio militare”. Porta la data del 1941 ed è, ancora oggi, pieno di fogliettini di appunti con la calligrafia di papà evidentemente impegnato a dominare la materia. Il libretto in questione era di Roberto Salvadori e non è da meravigliarsi che chi avesse voluto studiare chimica in quel periodo ne avesse posseduto un testo. Salvadori era una figura interessante nel panorama chimico proprio per il suo approccio didattico alle conoscenze scientifiche, approccio che poneva l’esperienza come base dello studio della materia, privilegiando il metodo storico “come il più adatto ad attirare l’attenzione dei giovani”. Da qui, dai fatti naturali, dai fatti sperimentali, si arrivava alle idee, alle deduzioni, e alle ipotesi secondo un percorso che oggi sembra ovvio ma che era difficile trovare così ben formulato in programmi scolastici di 80 anni fa.[2]
Nicoletta Nicolini
Università degli Studi La Sapienza, Roma
Tra i molti libri che possedeva mio padre ce n’era uno cui teneva moltissimo. Un piccolo libretto dal titolo Nozioni di chimica che gli aveva regalato Agostino Berti[1] la cui dedica recita “all’amico carissimo, Nicolini Luigi, conosciuto durante il servizio militare”. Porta la data del 1941 ed è, ancora oggi, pieno di fogliettini di appunti con la calligrafia di papà evidentemente impegnato a dominare la materia. Il libretto in questione era di Roberto Salvadori e non è da meravigliarsi che chi avesse voluto studiare chimica in quel periodo ne avesse posseduto un testo. Salvadori era una figura interessante nel panorama chimico proprio per il suo approccio didattico alle conoscenze scientifiche, approccio che poneva l’esperienza come base dello studio della materia, privilegiando il metodo storico “come il più adatto ad attirare l’attenzione dei giovani”. Da qui, dai fatti naturali, dai fatti sperimentali, si arrivava alle idee, alle deduzioni, e alle ipotesi secondo un percorso che oggi sembra ovvio ma che era difficile trovare così ben formulato in programmi scolastici di 80 anni fa.[2]
mercoledì 1 settembre 2010
Giuseppe Adamo (1920-1967). Persone della Merceologia
Giorgio Nebbia
La sera del 5 maggio 1967 è scomparso, all’età di appena 47 anni, il professor Giuseppe Adamo, titolare della cattedra di Merceologia dell’Università di Bari.
Nato a Sannicandro di Bari nel 1920, il prof. Adamo era stato uno dei primi laureati del corso di laurea in Chimica istituito nell’Università di Bari, durante la guerra. Aveva avuto come primo maestro il prof. Riccardo Ciusa (1877-1965) del quale era stato successivamente, per qualche tempo, assistente. Iniziava così fra l’ormai anziano maestro e il giovane allievo una lunga e affettuosa collaborazione che si sarebbe protratta per molti anni anche dopo che, nel 1948, il prof. Adamo era diventato assistente alla cattedra di Merceologia dell’Università di Bari tenuta dal prof. Walter Ciusa (1906-1989).
Libero docente nel 1953, il prof. Adamo era stato incaricato di Merceologia nell’Università di Bari e, vincitore di concorso, nel 1964 era stato chiamato a coprire la seconda cattedra della stessa materia in quella stessa Università che lo aveva avuto come studente di Chimica. Aveva anche tenuto incarichi di “Chimica analitica” e di “Chimica applicata” presso la Facoltà di Scienze.
Il prof. Adamo aveva condotto, in parte in collaborazione col prof. Riccardo Ciusa, una serie di interessanti lavori di chimica organica, soprattutto sulla reazione dio Doebner della quale aveva chiarito alcuni delicati passaggi. In una serie di ricerche di chimica analitica aveva studiato alcuni nuovi sensibili reattivi del calcio e di altri metalli ed aveva anche portato dei nuovi contributi alla chimica della reazione fra coloranti acidi e sali quaternari di ammonio.
La serie più interessante delle sue ricerche è quella che riguarda il campo più strettamente merceologico; gli studi sulle modificazioni chimiche subite dagli alimenti rientrano nel filone della più moderna ricerca merceologica. Partito dallo studio della struttura dell’amido e derivati studiò la variazione della trigonellina e dell’acido nicotinico nel caffè, te e cacao in diversi stati di preparazione; specialmente per il caffè esaminò l’effetto dei diversi gradi di tostatura arrivando a risultati che ebbero risonanza e che furono spesso citati anche all’estero.
La variazione di concentrazione dei due termini del sensibile sistema trigonellina-acido nicotinico fu seguita come criterio del grado di modificazione e alterazione anche in molti altri alimenti prima e dopo cottura e tostatura. La morte l’ha colpito mentre stava estendendo gli studi già iniziati sulle alterazioni subite dai grassi per autossidazione, un campo nel quale aveva già dato importanti contributi.
Giuseppe Adamo è stato uno studioso diligente e sensibile ai problemi più moderni e un insegnante appassionato; molti chimici e molti laureati in Economia Commercio ne ricordano le lezioni alle quali il prof. Adamo dedicava la massima cura.
La sera del 5 maggio 1967 è scomparso, all’età di appena 47 anni, il professor Giuseppe Adamo, titolare della cattedra di Merceologia dell’Università di Bari.
Nato a Sannicandro di Bari nel 1920, il prof. Adamo era stato uno dei primi laureati del corso di laurea in Chimica istituito nell’Università di Bari, durante la guerra. Aveva avuto come primo maestro il prof. Riccardo Ciusa (1877-1965) del quale era stato successivamente, per qualche tempo, assistente. Iniziava così fra l’ormai anziano maestro e il giovane allievo una lunga e affettuosa collaborazione che si sarebbe protratta per molti anni anche dopo che, nel 1948, il prof. Adamo era diventato assistente alla cattedra di Merceologia dell’Università di Bari tenuta dal prof. Walter Ciusa (1906-1989).
Libero docente nel 1953, il prof. Adamo era stato incaricato di Merceologia nell’Università di Bari e, vincitore di concorso, nel 1964 era stato chiamato a coprire la seconda cattedra della stessa materia in quella stessa Università che lo aveva avuto come studente di Chimica. Aveva anche tenuto incarichi di “Chimica analitica” e di “Chimica applicata” presso la Facoltà di Scienze.
Il prof. Adamo aveva condotto, in parte in collaborazione col prof. Riccardo Ciusa, una serie di interessanti lavori di chimica organica, soprattutto sulla reazione dio Doebner della quale aveva chiarito alcuni delicati passaggi. In una serie di ricerche di chimica analitica aveva studiato alcuni nuovi sensibili reattivi del calcio e di altri metalli ed aveva anche portato dei nuovi contributi alla chimica della reazione fra coloranti acidi e sali quaternari di ammonio.
La serie più interessante delle sue ricerche è quella che riguarda il campo più strettamente merceologico; gli studi sulle modificazioni chimiche subite dagli alimenti rientrano nel filone della più moderna ricerca merceologica. Partito dallo studio della struttura dell’amido e derivati studiò la variazione della trigonellina e dell’acido nicotinico nel caffè, te e cacao in diversi stati di preparazione; specialmente per il caffè esaminò l’effetto dei diversi gradi di tostatura arrivando a risultati che ebbero risonanza e che furono spesso citati anche all’estero.
La variazione di concentrazione dei due termini del sensibile sistema trigonellina-acido nicotinico fu seguita come criterio del grado di modificazione e alterazione anche in molti altri alimenti prima e dopo cottura e tostatura. La morte l’ha colpito mentre stava estendendo gli studi già iniziati sulle alterazioni subite dai grassi per autossidazione, un campo nel quale aveva già dato importanti contributi.
Giuseppe Adamo è stato uno studioso diligente e sensibile ai problemi più moderni e un insegnante appassionato; molti chimici e molti laureati in Economia Commercio ne ricordano le lezioni alle quali il prof. Adamo dedicava la massima cura.
Walter Ciusa (1906-1989). Persone della Merceologia
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Walter Ciusa (1906-1989) era figlio di Riccardo Ciusa (1877-1965), allievo di Giacomo Ciamician, professore di Chimica farmaceutica nell’Università di Bari dal 1922 al 1960 (a lui è stata giustamente intestata una strada a Bari nel “quartiere dei professori”). Il figlio Walter, laureato in Chimica, è stato assistente (allora esistevano ancora) di Merceologia a Bari dal 1928 al 1931 quando l’Istituto era diretto da Giuseppe Testoni (1877-1957); il padre volle che continuasse la carriera universitaria a Bologna, in una Università diversa da quella in cui insegnava lui.
Arnaudon, Gian Giacomo (1829-1893). Persone della Merceologia
http://www.imestieridelcuoioedellapelle.it/
Gian Giacomo Arnaudon nacque a Torino nel gennaio del 1829 da Luigi, proprietario di una piccola manifattura di pelli, dove Gian Giacomo lavorò fin da ragazzo nelle manipolazioni di conciatura e tintura, mentre come autodidatta si formava una buona cultura chimica. Nel 1852 A. Sombrero lo chiamò nel proprio Istituto, dove si distinse tanto che nel 1855 Camillo Cavour lo inviò a Parigi per l’esposizione universale e lo raccomandò a M. Chevreul, che lo assunse nella manifattura di Gobelins prima come allievo e poi come assistente. Nel 1857 fondò, insieme con altri pochi giovani chimici, la “Societè chimique de Paris” (oggi de France), divenuta in seguito una delle più vaste e autorevoli associazioni scientifiche francesi, e ne fu il primo presidente.
Richiamato a Torino nel 1859, fu nominato direttore dei lavori chimici dell’Arsenale della città e l’anno successivo Professore di Chimica Tintoria nell’Istituto Tecnico cittadino, appena costituito.
Ma la sua passione di studioso fu rivolta allo studio delle materie prime o “Scienza dei prodotti utili e immutabili” a cui dette il nome di Merciologia e nel 1860 fondò il “Museo Merceologico di Torino”, che diresse per tutta la vita. Fu socio dell’Accademia di Agricoltura di Torino.
Si occupò di Concia e di Materie Concianti, di Merciologia e del Museo Merciologico, di Esposizioni Industriali e di pubblicazioni d’economia sociale e di istruzione. Morì a Vico Canavese nel 1893. (Da Dizionario Biografico degli Italiani- Istituto della Enciclopedia Treccani)
Gian Giacomo Arnaudon nacque a Torino nel gennaio del 1829 da Luigi, proprietario di una piccola manifattura di pelli, dove Gian Giacomo lavorò fin da ragazzo nelle manipolazioni di conciatura e tintura, mentre come autodidatta si formava una buona cultura chimica. Nel 1852 A. Sombrero lo chiamò nel proprio Istituto, dove si distinse tanto che nel 1855 Camillo Cavour lo inviò a Parigi per l’esposizione universale e lo raccomandò a M. Chevreul, che lo assunse nella manifattura di Gobelins prima come allievo e poi come assistente. Nel 1857 fondò, insieme con altri pochi giovani chimici, la “Societè chimique de Paris” (oggi de France), divenuta in seguito una delle più vaste e autorevoli associazioni scientifiche francesi, e ne fu il primo presidente.
Richiamato a Torino nel 1859, fu nominato direttore dei lavori chimici dell’Arsenale della città e l’anno successivo Professore di Chimica Tintoria nell’Istituto Tecnico cittadino, appena costituito.
Ma la sua passione di studioso fu rivolta allo studio delle materie prime o “Scienza dei prodotti utili e immutabili” a cui dette il nome di Merciologia e nel 1860 fondò il “Museo Merceologico di Torino”, che diresse per tutta la vita. Fu socio dell’Accademia di Agricoltura di Torino.
Si occupò di Concia e di Materie Concianti, di Merciologia e del Museo Merciologico, di Esposizioni Industriali e di pubblicazioni d’economia sociale e di istruzione. Morì a Vico Canavese nel 1893. (Da Dizionario Biografico degli Italiani- Istituto della Enciclopedia Treccani)
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