Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Dove troveremo tutto il petrolio per far camminare mille milioni di autoveicoli, che aumentano in ragione di circa 50 milioni all’anno ? Finora il pericolo di un impoverimento delle riserve mondiali di petrolio è stato oggetto di analisi da alcuni “pessimisti”; altri, ancora più pessimisti, hanno ricordato le previsioni fatte nel 1956 da un certo Hubbert secondo cui si sta avvicinando, o si è già verificato, un “picco” nella quantità di petrolio estratto dalle riserve, al di là del quale non sarà facile, forse neanche possibile, far aumentare la quantità di petrolio prodotta ogni anno, oggi circa 4300 milioni di tonnellate. “Il picco” non dice che il petrolio mancherà, ma che ce ne sarà sempre di meno disponibile nelle viscere della Terra.
Da tempo alcuni governi e le imprese fanno fare degli studi di previsioni sull’entità delle riserve di petrolio nel mondo. Nei giorni scorsi un articolo del settimanale tedesco “Der Spiegel”, generalmente bene informato, riferisce che una speciale sezione di studi sul futuro del Zentrum für Transformation (il centro per l’analisi delle trasformazioni) dell’esercito tedesco avrebbe redatto un rapporto, ancora riservato, destinato al governo tedesco, in cui sono indicati alcuni scenari di mutamenti della politica sia diplomatica sia militare necessari nel caso in cui si verifichi davvero una diminuzione della disponibilità del petrolio nel mondo. Il fatto che se ne occupino i militari fa pensare che la cosa sia seria.
Il petrolio è indispensabile e per ora non sostituibile: con l’elettricità si possono far funzionare le industrie, scaldare le abitazioni, assicurare alcuni trasporti, e l’elettricità può essere ottenuta anche senza petrolio, utilizzando il carbone, il gas naturale, con il moto delle acque e con le forze del Sole, del vento, eccetera, ricorrendo, se si vogliono accettarne i rischi ambientali, i costi e i pericoli, all’energia nucleare. Ma il settore dei trasporti stradali di persone e merci, basato sui motori a combustione interna, quelli degli attuali camion e automobili, richiede un carburante liquido che può essere ottenuto soltanto dal petrolio (i carburanti derivati dall’agricoltura hanno per ora soltanto un uso e prospettive marginali), e che rappresenta circa un terzo di tutta l’energia prodotta e consumata nel mondo.
Qui non si tratta di discutere sui mutamenti climatici, sull’inquinamento dell’atmosfera, sulla salute, sui costi monetari dell’energia, dei trasporti, delle merci; si tratta di discutere di dove e di come andare a prendere il petrolio. Chi possiede il petrolio è padrone del mondo; possono essere musulmani o cristiani, dittatori o buoni governanti. Esclusa, come hanno dimostrato le guerre perdute in Irak, Afghanistan Asia centrale, Somalia, la conquista militare dei pozzi petroliferi o degli oleodotti altrui, chi ha bisogno di petrolio dovrà trattare con i padroni del petrolio e baciargli le mani. Il gesto del presidente del consiglio dell’Italia (che dipende quasi totalmente dalle importazioni del petrolio) nei confronti di Gheddafi, può aver anticipato quello che tanti altri governanti dovranno fare adottando un nuovo stile di diplomazia.
Bisognerà diventare amici dei padroni del petrolio e nemici dei loro nemici; si profilano nuovi rapporti con Israele e gli stati arabi, fra paesi cristiani e quelli musulmani. Chi possiede il petrolio diventerà ricchissimo, il che porterà ad una nuova stratificazione di classe; oggi i nuovi ricchissimi sono arabi, musulmani, asiatici, russi e li ammireremo e adoreremo, al loro arrivo, con le loro favolose barche e ville, magari dimenticando che fanno i generosi spreconi con i soldi portati via a noi assetati di petrolio, destinati a diventare più poveri. Bisognerà andare a cercare petrolio da qualsiasi parte: nei mari profondi, negli scisti bituminosi, nelle distese ghiacciate dell’Artico, nelle paludi dei fiumi africani, in mezzo alle foreste tropicali. Altro che salvaguardia delle pantere e conservazione della natura.
Quanto meno accessibili saranno le riserve, tanto maggiore sarà la devastazione ambientale; lo si è visto nel Golfo del Messico, perché i giornali ne hanno parlato, ma i giornali non parlano delle diecine di sversamenti e inquinamenti del petrolio che ogni anno si verificano in qualche parte nel mondo, negli oceani e nei porti dalle petroliere. Pochi numeri indicano quanto sia grande la dipendenza dai padroni del petrolio ormai non solo dell’Europa e Nord America, ma anche dei nuovi giganti industriali asiatici. Ogni autoveicolo nel mondo consuma ogni anno, in media, duemila litri di benzina o gasolio e per produrre 1000 litri di carburante occorrono circa due tonnellate di petrolio. In Italia i circa 40 milioni di autoveicoli circolanti richiedono ogni anno circa 40 miliardi di litri di carburanti.
Solo una piccola frazione di questi carburanti potrebbe essere sostituita da alcol etilico o biodiesel di origine agricola, necessari, certamente, ma non risolutivi. I veicoli elettrici o quelli con minori consumi di carburanti, fanno diminuire solo di poco la richiesta di petrolio. Se i governi, soprattutto nei paesi industriali, non avranno il doloroso coraggio di proporre di comprare meno automobili, di avviare una nuova pianificazione energetica e radicali cambiamenti nella mobilità delle persone e delle merci, nella struttura delle città, nella localizzazione delle abitazioni e dei posti di lavoro, nei processi produttivi, in modo da rallentare la crescente richiesta di petrolio, dovranno essere preparati non solo a maggiori costi monetari pubblici e privati, ma a gravi forme di dipendenza politica e di instabilità e insicurezza.
Dovranno essere preparati a devoti rapporti con capi politici e religiosi oggi considerati impresentabili, solo per sfuggire al ricatto della chiusura degli oleodotti che portano nelle nostre strade il petrolio indispensabile per muoverci e vivere. E chi volesse fare lo schizzinoso, come Pinocchio quando si è rifiutato di spingere il carretto di carbone, può sentirsi dire: “Mangiati due belle fette della tua superbia e bada di non prendere un’indigestione”.
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