Università
Roma 3, 9 maggio 2016
Bruno
Notarnicola
Dialogo con
Giorgio Nebbia
Nebbia, Signor
Presidente, ringrazio lei e tutti i colleghi per aver organizzato, come Accademia
Italiana di Scienze Merceologiche, l’associazione italiana dei cultori di
Merceologia e delle discipline affini, questo incontro in occasione del mio novantesimo
compleanno.
Notarnicola. Professore, come si è
avvicinato alla Merceologia?
Nebbia, Da ragazzo
volevo fare l’ingegnere, poi per vari eventi, quando ancora ero studente, un
giorno ho messo piede in un Istituto di Merceologia, quello del prof. Walter
Ciusa nell’Università di Bologna. Non sapevo neanche che cosa fosse la Merceologia
e poi, piano piano, ho capito che era qualcosa che aveva a che fare con le cose
che si producono, che si comprano e che si vendono e che aveva anche degli
aspetti tecnici, scientifici, chimici. Mi sono così laureato in chimica e, a
poco a poco, un po’ imparando e un po’ insegnando, ho compreso la bellezza di
questa disciplina che ho praticato per tutta la vita.
Io
dico anzi che, nella mia lunga vita, ho avuto due amori, mia moglie Gabriella e
la Merceologia, perché mi è sempre sembrato bellissimo studiare, cercare di
capire, e poi parlare, raccontare, le cose che si fabbricano con la materie prime
naturali e col lavoro, nei campi e nelle fabbriche e che arrivano poi nei
negozi e nelle case.
Devo
tutto al Professor Ciusa, il quale mi ha accompagnato nella scoperta della
Merceologia insegnandomi a considerare non solo i processi e i caratteri delle
merci, ma anche la storia delle tecniche di produzione e della loro evoluzione,
della concorrenza fra processi e prodotti, e la necessità di guardare al
futuro, su come probabilmente saranno fabbricate, con quali materie prime e come
questo influirà anche sulla società e sull’ambiente naturale.
Notarnicola. Quando è arrivato a Bari?
Nebbia. Quando ancora
ero assistente nell’Università di Bologna ebbi un primo incarico di insegnamento
della Merceologia nella Facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Bari,
dove avevano già insegnato Merceologia il prof. Ciusa e, prima di lui, il prof.
Giuseppe Testoni di cui Ciusa era stato assistente: una lunga “famiglia”
accademica.
Ricordo
ancora l’emozione del primo viaggio in treno da Bologna a Bari (durava una
ventina di ore), di notte, ricordo il sorgere del Sole sull’Adriatico, la
terra, le città bianche, i campi coltivati, le norie per sollevare l’acqua.
Dopo
questo primo periodo ho “vinto” (non so adesso, ma ai miei tempi la conquista
di un posto di professore universitario di ruolo era proprio come un vincere
una gara fra vari concorrenti agguerriti) il concorso alla cattedra di
Merceologia di Bari dove sarei rimasto fino alla pensione.
Notarnicola. Lei è stato considerato un
attivista dei movimenti ambientalisti; che cosa c'entrava con la Merceologia?
Nebbia. Non ci si può
occupare dei problemi ambientali, cioè degli effetti delle attività umane sull’ambiente
circostante, senza conoscenze merceologiche, e, nello stesso tempo, uno
studioso di Merceologia finisce per occuparsi inevitabilmente di problemi
ambientali.
Le
attività umane consistono, infatti, nella produzione e nell’uso di merci, di
oggetti materiali, e le nocività ambientali, dagli inquinamenti delle acque
alle modificazioni climatiche, derivano proprio dalla qualità dei processi di
produzione e delle merci che vengono usate.
“Usate”,
non “consumate”, perché noi non consumiamo niente; tutte le merci, dopo l’uso, diventano,
in varie forme, scorie e rifiuti i cui effetti negativi sulla natura possono
essere in parte attenuati con processi di depurazione, di incenerimento o di
sepoltura in discariche o con processi di riutilizzazione, di riciclaggio,
quella che oggi di chiama “economia circolare”.
Già
nei primi anni cinquanta del secolo scorso il prof. Ciusa insegnava, e ci
chiedeva di insegnare, che sempre, nella storia, la produzione delle merci è proceduta
utilizzando e valorizzando scorie e rifiuti, spesso con tecnologie raffinate.
Quindi
l'attenzione per l’ambiente, per me, era implicita in quello che studiavo e insegnavo:
come si trasformano le materie nella produzione e nell’uso, da dove vengono i residui,
perché vengono “rifiutati”, quale composizione hanno.
Per
un chimico è chiaro che, inevitabilmente, nella trasformazione della materia,
una parte diventa merci utili ma il resto non scompare e torna in forma
negativa nell’ambiente.
Notarnicola. Lei è stato parlamentare
alla Camera e al Senato e questo la ha allontanata per nove anni
dall'insegnamento. Ha tradito la Merceologia in quel periodo storico?
Nebbia. Sono stato in
Parlamento nove anni, un periodo e una vita impegnativa che mi imponeva di
andare tutti i giorni (in autobus) nel mio ufficio alla Camera o al Senato a
studiare quello che si sarebbe discusso, a documentarmi su come sarebbe stato
giusto votare o quali miglioramenti suggerire alle leggi esistenti.
Ero
stato eletto nelle liste del Partito Comunista Italiano (che allora esisteva
ancora) e facevo parte, sia alla Camera sia al Senato, di un piccolo gruppo,
quello della Sinistra Indipendente, che indipendente era per davvero sia nello
svolgimento dei lavori sia nelle votazioni.
Il
Parlamento produce delle leggi che sono in gran parte merceologiche, sulla regolamentazione
della produzione e dei commerci, sull’olio di oliva o sui detersivi, sulla
fabbriche inquinanti e sulla difesa delle acque; di questo soprattutto mi occupavo
come merceologo.
Facevo
parte della Commissione Agricoltura che proponeva norme sulla irrigazione, su
concimi, zucchero e cereali, sulle imposte da applicare per incoraggiare o
scoraggiare coltivazioni e produzioni, per cui anche in Parlamento ho
continuato a fare il mio mestiere di merceologo.
Notarnicola. L’acqua e la dissalazione
delle acque saline sono stati capitoli importanti della Sua produzione
scientifica. Il “costo dell'acqua”, quale consumo in litri di acqua nei cicli
produttivi è stata un’altra grandezza da Lei usata negli anni Settanta e oggi ripresa
da norme ISO (ISO 14046 ad esempio) e nota con la terminologia di “Water
Footprint”. Quale è l'attualità di questo argomento soprattutto alla luce dei
cambiamenti climatici e dei lori effetti sulla disponibilità di acqua nei
diversi Paesi?
Nebbia. Per la comprensione
del valore e della qualità di una merce occorre esaminarne l’intero ciclo produttivo, un concetto che il
prof. Ciusa sosteneva già alla fine degli anni quaranta del secolo scorso in
due dimenticati libri, addirittura proponendo un insegnamento, da affiancare al
corso di Merceologia, intitolato “Tecnologia dei cicli produttivi” (la prima
cattedra fu istituita a Bari nel 1963).
Alla
base di tutto c’è il principio di conservazione della massa: tutto quello che
entra in un processo si deve trovare alla fine come merce o come scoria. Il
ciclo produttivo può essere descritto con una contabilità simile a quella fatta
dalle aziende, con la differenza che quest’ultima usa come unità di misura i
soldi e mentre la contabilità merceologica usa le unità di peso o di energia e
con quelle i conti devono quadrare per forza.
Fra
le materie che entrano in un ciclo produttivo l’acqua ha un ruolo importante,
sia come quantità per unità di merce prodotta, sia come qualità.
Quella
che oggi si chiama “impronta in acqua” delle merci corrisponde alla quantità di
acqua richiesta per produrre una unità di peso di una merce. Ma altrettanto
importante è la provenienza dell’acqua (che sia “blu” o “verde” o “grigia”) e
soprattutto la qualità dell’acqua.
Per
molti processi, sia industriali, sia agricoli, non sono utilizzabili acque con
un contenuto salino superiore a certi limiti; molte acque naturali contengono sali
in quantità superiore a tali limiti; anzi la più abbondante massa di acqua,
quella dei mari e degli oceani, ha un contenuto salino inaccettabile per la
maggior parte dei processi biologici e merceologici
L’acqua
a basso contenuto salino, “dolce”, è scarsa sulla Terra, soprattutto in alcune
aree geografiche, e da qui deriva l’interesse per la dissalazione delle acque:
l’acqua dissalata è quindi un prodotto industriale, anzi una merce vera e
propria.
Notarnicola. Lei nel 1970 parlava di Costo
energetico delle merci, concetto ripreso da Ian Boustead nel suo “Handook of
Energy Analysis”, dal Department of Energy degli Stati Uniti in tanti rapporti
degli anni 70 e 80 da tanti studiosi di energia e Merceologia, concetto oggi
noto come “Embedded Energy”. Come è nato l’interesse per questo argomento?
Nebbia. Nell’analisi del
ciclo produttivo un ruolo importante ha la merce-energia, un tema che ha sempre
appassionato gli studiosi di Merceologia. Un nostro collega, Roberto Salvadori
(1873-1940), docente nell’Università di Firenze, già nel 1933, al tempo della prima
grande crisi economica mondiale del Novecento, in cui già si affacciavano i
problemi della scarsità e di come fosse possibile usare al meglio energia e
materiali, ha scritto un dimenticato libro intitolato: “Merceologia generale.
Principi teorici. I. Le proprietà delle cose. II. Concetto merceologico
dell’energia”, nel quale era esposto molto chiaramente il bilancio energetico
di molti cicli produttivi. Come unità di misura dell’energia Salvadori propose l’“energon-merce”
e propose la valutazione del costo energetico delle merci, cioè della quantità
di energia impiegata per ottenere una unità di peso di una merce.
Un
concetto delicato perché la qualità merceologica dell’energia peggiora ogni
volta che l’energia viene usata a causa dell’aumento dell’entropia del sistema.
L’economista americano Nicolas Georgescu-Roegen ha scritto pagine fondamentali
sull’entropia nei processi economici.
Insomma
il tema del costo energetico delle merci --- quanta energia e a quale
temperatura viene usata e quanta viene “incorporata“ in ciascuna merce, in parte
recuperabile attraverso i processi di riciclo --- è, se così si può dire, nel
sangue di noi merceologi; molti nostri colleghi, fra cui anche il mio collega
di Bari prof. Luigi Notarnicola, soprattutto negli anni settanta del secolo
scorso, hanno scritto cose egregie sull’argomento.
Notarnicola. Quando tutti elogiavano la
società dei consumi, Lei parlava nel 1972 di “società dei rifiuti”,
introducendo il concetto di “rifiutologia” come nuovo capitolo delle
Merceologia, e di “Progettare le Merci in funzione del loro riciclaggio”,
argomenti oggi centrali ed attualissimi nelle attuali politiche ambientali italiane
ed europee. Le ha anticipate di oltre 30 anni?
Nebbia. Nel momento
in cui ci occupiamo di come saranno fabbricate le merci, è inevitabile che ci
si debba occupare di quanto si forma alla fine di ciascun processo, delle cose
e materiali che sono gettati via, “rifiutati”, suscettibili di alterare i corpi
naturali in cui sono immessi, ma anche di essere trasformati in nuove merci attraverso
processi di riciclo.
La
qualità delle merci-rifiuti e il loro destino dipendono dalla qualità e da come
sono state progettate le merci originali. Non fa meraviglia che un Laboratorio
di Merceologia sia stato creato nel Politecnico di Milano nell’ambito del corso
di progettazione della Facoltà di Architettura.
Si
possono fare le stesse cose in tantissime maniere diverse, a seconda dei
vincoli che ci si impongono: la maggiore o minore durata prevista, l’uso di
materiali non rinnovabili o rinnovabili, di maggiori o minori quantità di
materie, il carattere di riciclabilità delle merci usate --- a parità di “utilità”
della merce finale.
Qualcosa
comincia a muoversi; i fabbricanti di autoveicoli commerciano i loro veicoli
promettendo che essi, durante l’uso, non emetteranno più di tanti grammi di CO2
per chilometro, non consumeranno più di tanti litri di carburante (ancora una
indicazione del “costo energetico” del servizio).
Non
a caso Carlo Marx, nel primo libro del “Capitale”, ha scritto che la Merceologia
(Warenkunde) è la disciplina che si occupa del “valore d’uso” delle merci,
mentre l’economia politica si occupa del valore di scambio.
Per
farla breve, lo studio della progettazione delle merci, del loro uso e dei
rifiuti che ne restano, è proprio un capitolo della nostra disciplina.
Notarnicola. Economia ed Ecologia,
utilizzo della tavola intersettoriale dell’economia per quantificare oltre al
PIL anche l’inquinamento, concetti di grande attualità oggi noti come “Material
Flow Analysis” o “Input Output Environmental Analysis”. Pensava che i due
concetti, “la gestione della casa” e la “conoscenza della casa” potessero
convergere nella stessa direzione?
Nebbia. La contabilità
dei flussi dei cicli produttivi delle merci è un capitolo molto importante del
nostro insegnamento. L’analisi intersettoriale “ambientale” che lei cita è un
perfezionamento dell’analisi intersettoriale in unità monetarie che ogni stato
redige al proprio interno. Anzi quest’ultima è nata, negli anni venti del
secolo scorso nell’Unione Sovietica, come contabilità dei flussi di materiali
forniti da ciascun settore economico agli altri settori ai fini della pianificazione.
Le prime tavole intersettoriali dovevano rispondere a domande come: quante tonnellate
di minerali per fare tante tonnellate di acciaio per tanti trattori; quante
tonnellate di concimi per fare tante tonnellate di grano per tante tonnellate
di pane. E Wassily Leontief lavorò al Gosplan sovietico prima di passare negli Stati
Uniti a perfezionare le basi dell’analisi input-output che gli valse il premio
Nobel.
Per
studiare gli effetti ambientali di ciascun settore produttivo occorre redigere tale
analisi intersettoriale e cominciando da singoli cicli produttivi. Ricordo che
negli anni cinquanta del Novecento il prof. Antonino Renzi, che insegnava nell’Università
di Roma, chiese al prof. Ciusa di collaborare per la parte merceologica (e Ciusa
affidò una parte dello studio a me, giovane assistente) alla redazione di una
“matrice siderurgica” al fine di valutare, per esempio, quante tonnellate di
acciaio e di quale tipo sarebbero state necessarie per produrre tante
tonnellate di viti o di vergella, o di locomotive o di automobili, eccetera.
Con
il crescere dell’attenzione per l’ambiente sono cominciati studi per la
redazione di matrici intersettoriali in unità fisiche dei vari cicli produttivi
al fine di conoscere quante materie sarebbe stato necessario estrarre dai corpi
naturali e quanti residui sarebbe stato necessario immettere nei vari corpi
naturali. Una analisi che può essere condotta a livello di singola unità
produttiva, ma anche di una città, o di una intera unità nazionale, o a livello
dell’intero pianeta, la nostra grande casa comune.
Alcuni
merceologi italiani hanno cominciato ad affrontare questo difficile compito, ma
moltissimo è ancora da fare se si vuole alleggerire l’”impronta” delle attività
umane sulla Terra; le conoscenze merceologiche sono centrali per il successo
dell’impresa e molti studiosi vi ricorrono anche senza nominare la Merceologia.
Una
occasione per rivendicare la centralità delle nostre discipline.
Notarnicola. Lei ha parlato di “storia
naturale delle merci”, argomento che per gli studiosi di Life Cycle Assessment
è esattamente lo stesso concetto ma detto 30 prima. Pensava che questa Sua
intuizione, oggi sarebbe diventata così attuale e centrale nelle politiche di
sostenibilità?
Nebbia. L’analisi del
ciclo vitale delle merci non è altro che l’ultima versione del concetto di
ciclo produttivo di cui si parlava prima. La produzione e l’uso delle merci hanno
grande somiglianza con quanto avviene nel mondo vivente e le merci hanno quindi
anch’esse una loro “storia naturale”. In entrambi i casi si parte traendo dalla
natura una materia che entra e attraversa un processo di trasformazione (un metabolismo)
con formazione del prodotto utile voluto e di vari metaboliti, i rifiuti, che vengono
immessi nell’ambiente naturale.
Il
riciclo dei rifiuti equivale all’attività degli organismi decompositori che si
nutrono degli escrementi di altri e ne traggono nutrimento per se stessi generando
altre scorie.
Insegnare
Merceologia consiste, sostanzialmente, nel raccontare la nascita, la vita, la
trasformazione, la morte degli oggetti, delle cose materiali, processi in cui
c’è sempre un degrado “entropico” della materia estratta dalla natura.
Come
avviene nella vita, anche nella vita delle merci alla fine si hanno sempre
delle scorie, con buona pace di chi promette dei processi con “rifiuti zero”,
“Zero Waste”, come è di moda dire per illudere ascoltatori sprovveduti.
Del
resto il riciclo non è stato inventato da noi: i residui e i rifiuti sono stati
riciclati fin dai tempi antichissimi, pensiamo solo alla riutilizzazione degli
stracci nel Medioevo e nel Rinascimento per farne carta e altri tessuti. Davvero
affascinante la nostra Merceologia.
Notarnicola. Cosa ne pensa dopo 40 anni
delle scelte relative all’industrializzazione della Puglia: Siderurgico a
Taranto, petrolchimico e centrale termoelettrica a Brindisi, chimico a
Manfredonia?
Nebbia. Di cose
materiali, di oggetti abbiamo e avremo sempre bisogno e questi possono essere
fatti soltanto trasformando con la tecnica e col lavoro i prodotti dell’agricoltura,
delle miniere, delle cave.
Nel
mezzo secolo in cui ho vissuto e insegnato in Puglia ho visto nascere fabbriche
e imprese che sono state salutate come occasioni di occupazione, di miglioramento
delle condizioni di vita e anche culturali. Il successo, e gli insuccessi (e ne
ho visti tanti) dipendevano da quali merci producevano, con quale effetto
ambientale, dove erano localizzate.
Ho
visto nascere e, con dolore, morire tante fabbriche, la raffineria di Bari, il petrolchimico
di Manfredonia, gli zuccherifici del Foggiano; per ogni forno che si spegne, a
causa di svelte produttive sbagliate, dell’inquinamento o della globalizzazione
dei commerci, ci sono famiglie che perdono il sostentamento, ci sono esperienze
e conoscenze e speranze che vanno perdute.
Ho
sempre creduto che fosse importante far crescere occupazione e cultura operaie
nel Mezzogiorno, una terra generosa che ha un grande patrimonio di cultura e di
passione civile, ma ho constatato che spesso molte imprese sono state “spedite”
nel Mezzogiorno senza adeguate valutazioni e previsioni degli effetti positivi
e negativi che avrebbero avuto.
Forse
noi stessi del mondo universitario, e in particolare noi cultori di quelle discipline
merceologiche che sanno comprendere i processi e i loro inconvenienti, non
abbiamo fatto abbastanza per la diffusione del sapere, sul piano della critica
e dello stimolo.
Notarnicola. Pensa che nelle politiche
di riutilizzo di gran parte dei residui solidi prodotti dall’Ilva si possa in
qualche modo contribuire al risanamento ambientale dell’impianto, come ad
esempio le scorie di acciaieria o la loppa di altoforno che va nel cementificio
solo per il 15% ?
Nebbia. Lei insegna
nell’Università di Bari a Taranto ed ha ben presenti i gravi problemi dell’ILVA,
il più grande stabilimento siderurgico italiano, che genera non solo fumi
inquinanti, ma anche molti milioni di tonnellate all’anno di scorie solide,
loppe e residui degli altoforni e dell’acciaieria, solo in parte utilizzati in
altri processi.
Una
loro migliore utilizzazione presuppone una migliore conoscenza della loro
esatta composizione, anche considerando che varia continuamente la provenienza,
e anche la composizione, delle due principali materie prime del processo, i
minerali di ferro e il carbone. E questa è proprio Merceologia.
Le
tecnologie si evolvono rapidamente e vengono richiesti elementi, finora
trascurati, che vengono cercati, oltre che nei minerali, anche nei residui di
altre lavorazioni. A Crotone dalle scorie di altri processi metallurgici per
alcuni anni veniva estratto l’indio, un costoso metallo.
Notarnicola. Prima ha detto che
economia ed ecologia, convergono nella stessa direzione. A Taranto c’è sempre
un “trade-off “, divario tra qualità dell’ambiente e occupazione e quindi
possibilità di poter lavorare effettivamente nell’impianto Siderurgico. Cosa
lei ritiene si possa insegnare oggi a chi deve prendere decisioni a Taranto
sulla localizzazione o sul futuro dell’Ilva?
Nebbia, Molto
difficile da dire. Un merceologo può solo dire: se cambiate il ciclo produttivo
forse succede questo e questo altro, ma i drammatici conflitti che vedono
contrapposti la popolazione inquinata che difende la propria salute, i
lavoratori che difendono l’occupazione e i proprietari che difendono i propri
soldi, possono essere risolti soltanto a livello politico. Se i politici
dessero ascolto anche a chi si occupa di bilanci di cose materiali, forse le soluzioni
sarebbero semplificate.
E’
indubbia l’importanza civile di insegnare e discutere questi problemi con gli
studenti universitari da cui verrà la classe dirigente futura.
Notarnicola. Dopo lunghi dibattiti e
lotte, nel 1987 c’è stato lo stop all’energia nucleare in Italia. Oggi qualcuno
dice che siamo passati dalle problematiche delle scorie radioattive, alle
problematiche di un’alta intensità di CO2 e di gas clima-alteranti per
kWh, a causa di un ritorno di un forte uso di combustibili fossili. Quali ritiene
che siano le prospettive delle fonti rinnovabili ricompreso l’idrogeno per in
qualche modo compensare o evitare un ritorno all’energia elettrica per via
nucleare in un momento in cui i cambiamenti climatici sono così importanti ?
Nebbia. Nell’ultimo
mezzo secolo la continua crescente immissione di gas climalteranti nell’atmosfera
sta facendo aumentare la temperatura media del pianeta con conseguente
modificazione dei grandi cicli biogeochimici da cui dipendono il clima, la successione
delle piogge, l’avanzata dei deserti, i flussi delle acque marine e oceaniche e
dei gas dell’atmosfera.
A
questo proposito ci sono tre orientamenti culturali: il primo nega che esistano
tali modificazioni irreversibili, che se ci sono non dipendono dalle attività
umane e che tutto si aggiusterà o con la tecnica, o grazie alla crescita
economica e che occorre continuare con l’aumento della produzione e dei consumi.
Un
secondo punto di vista riconosce che tali mutamenti esistono e che sono dovuti
all’uso dei combustibili fossili ma che la salvezza, se si vuole continuare ad
avere energia per produrre crescenti quantità di merci, consiste nel ricorrere
all’unica fonte di energia (a rigore di elettricità) che è quella della
fissione (e forse un giorno fusione) nucleare, che non emette gas climalteranti.
Una soluzione che, al di là dei costi monetari, impone alla nostra e alle future
generazioni un costo sociale altissimo per la gestione (non si sa come), delle
scorie radioattive inevitabilmente lasciate dall’uso civile (e militare) dell’energia
nucleare.
Una
terza proposta suggerisce di sottoporre a revisione critica i processi di
produzione delle merci e i nostri consumi (e qui un ruolo fondamentale, ripeto,
hanno le nostre discipline) in modo da consentire ai paesi industrializzati di
soddisfare i propri bisogni essenziali con minori “costi” di energia e di
materie e da consentire ai paesi poveri di disporre dei beni essenziali che gli
permettano di uscire dalla loro miseria; in questa direzione un contributo può
venire dalle fonti energetiche e dalle materie rinnovabili, ricorrendovi con
intelligenza e attenzione.
Non
dall’idrogeno, a mio parere, perché questo combustibile, non inquinante nel
momento dell’uso, può essere ottenuto soltanto con più energia di quella che
restituisce durante l’uso.
“I
numeri” per orientarsi nelle future decisioni per rallentare il riscaldamento
planetario, sono stati resi noti nel corso di varie conferenze internazionali,
l’ultima delle quali nel dicembre 2015 a Parigi; i documenti preparatori
forniscono informazioni chimiche e “merceologiche”: da quali settori –
industrie, trasporti, agricoltura, zootecnia, città, eccetera --- vengono i gas
serra e quali sono e in quale quantità; quali modifiche dei processi e dei
prodotti possono farne diminuire le emissioni.
Si
scopre così che anche gesti apparentemente insignificanti, come l’uso del computer
o dei telefoni cellulari, comportano significativi consumi di elettricità ed
emissioni di gas climalteranti, che anche i virtuosi pannelli fotovoltaici che
producono “gratis” elettricità dal Sole, richiedono materie prime e energia nel
corso della fabbricazione e della manutenzione.
A
favore di una revisione dei consumi si è espresso anche il Papa Francesco che
nell’Enciclica “Laudato si’”, cita 67 volte la parola “consumo” e 34 volte la
parola “produzione”, Un Papa merceologo ?
Notarnicola. Quali pensa che siano le
prospettive delle sua e della nostra amata Merceologia?
Nebbia. Molte cose di
cui parla l’economia, la politica, ecc., hanno le loro radici nelle conoscenze
che noi possiamo diffondere. Allora, a mio modesto parere, bisogna recuperare
l’orgoglio di essere i depositari di conoscenze che possono essere utili alla
società; quindi chiedere, insistere, perché la nostra disciplina abbia un posto
di rilievo e non marginale nel corso degli studi economici, ma, io dico, non
solo economici, ma anche chimici e ingegneristici. Se dipendesse da ma, farei seguire
un corso rapido di Merceologia anche ai parlamentari, come aveva fatto nel 1971
il presidente del Senato Fanfani facendo fare un corso accelerato di ecologia
per i Senatori.
Notarnicola. Raggiunti i limiti di età
ha lasciato l’Università da ormai 20 anni. Come passa le sue giornate?
Nebbia. Insegnando e
studiando Merceologia, è l’unica cosa che so fare. Qualche giornale ha la
cortesia di ospitare qualche articolo che tratta di merceologia, naturalmente.
Non avendo, per motivi di età, più accesso alle aule universitarie, dove ho
lasciato il cuore, cerco di parlare nei circoli ricreativi, nelle riunioni di
pensionati, a chiunque abbia voglia di ascoltare le virtù e l’importanza della
Merceologia. A ben guardare mi sento “a riposo”, come si suol dire, soltanto in
quanto dipendente statale, ma non come persona curiosa. Grazie per la sua
disponibilità.
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