Postfazione
a: Michele Boato, “Dalla parte dei consumatori. Storia del movimento
consumerista italiano”, Libri dei consumatori, Fondazione ICU, Mestre, 2015,
138 pp., p. 137-138
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Il protagonista di questo libro è “il consumatore”, l’acquirente
di merci e servizi rappresentato da singole persone, fabbricanti o enti (anche
lo Stato è un consumatore). Un secondo personaggio è “la merce”, l’universo
degli oggetti fisici, materiali, venduti e acquistati in cambio di soldi. Anche
i servizi, infatti, dipendono dall’acquisto ed uso di “cose”: per i trasporti c’è
bisogno dei metalli e della plastica degli autoveicoli o dei treni e di
combustibili; per il turismo c’è bisogno di edifici e di letti e di asciugamani;
chi vende bellezza ha bisogno di tinture per capelli, creme e palestre; chi
vende elettricità ha bisogno di gasolio o di pannelli fotovoltaici; chi vende
acqua ha bisogno di tubazioni e pompe, eccetera.
Le merci che i consumatori finali acquistano nei negozi sono
il risultato di una lunga catena di scambi di altri oggetti e di denaro. Una
lattina di pomodoro, tanto per dire, “contiene” un pezzetto di lamiera
metallica che è stata fabbricata da qualcuno che aveva comprato minerali di
ferro o rottami e stagno; qualcun altro l’ha riempita con la conserva di
pomodoro venduta da qualcuno che a sua volta aveva comprato i pomodori venduti dai
coltivatori, che a loro volta avevano comprato i concimi venduti dall’industria
chimica, eccetera. Una catena in cui si formano anche “merci negative”, rifiuti
solidi, liquidi e gassosi che una comunità “vende”, senza ricavarne alcun
profitto, ma anzi ricavandone un danno, al suolo, alle acque, all’atmosfera.
Fra i “venditori” e gli ”acquirenti” di merci esistono, da sempre,
dei conflitti. Nella nostra attuale società i venditori vogliono più soldi per
le loro merci e, a questo fine, alcuni, chiamiamoli “i frodatori”, cercano di
vendere a più alto prezzo merci che “valgono “ di meno, che sono sofisticate o
adulterate o contaminate, talvolta contenenti sostanze nocive per la salute.
Gli acquirenti sanno, o hanno il sospetto, che esistano questi
imbrogli. Se esistesse uno “Stato” che opera pro bono publico, sarebbe lui ad assicurare, con opportune leggi e
controlli, ai venditori equi profitti e ai consumatori equi prezzi e beni
sicuri. Il libro racconta come, in Italia “lo Stato” abbia spesso emanato leggi
ascoltando più la voce dei venditori che quella degli acquirenti, e che le
leggi a favore dei consumatori finali sono spesso state ottenute soltanto dopo
lotte animate da singole persone, ma più spesso da “movimenti” di cui il libro
racconta per la prima volta la storia.
Anche i controlli della qualità e del “valore” --- genuinità
merceologica e prezzo equo --- dovrebbero essere fatti attraverso adeguati
servizi pubblici di analisi, ma spesso sono ottenuti soltanto dopo proteste e
eventualmente interventi della magistratura.
Il prof. Boato ha passato la vita, nella scuola, nel
Parlamento, nelle piazze, a battersi in difesa dei consumatori, testimone e
protagonista della, talvolta tempestosa, successione delle associazioni, dei
movimenti, dell’attenzione dell’opinione pubblica, delle trasmissioni
televisive.
Un difficile e conflittuale cammino perché i produttori di
merci, anche quelli che le producono conformi alle leggi, non vogliono che qualcuno
ficchi il naso nella composizione di quanto vendono, nella leggibilità e chiarezza
delle etichette delle loro merci, negli ingredienti impiegati, nella forma e
nelle esagerazioni delle pubblicità. E’ quindi “naturale” che le associazioni
di venditori o singoli venditori si siano opposti con fermezza ogni volta che
qualcuno ha cercato di “fare chiarezza” nella qualità dei prodotti, nel vero
significato delle clausole dei contratti.
Il libro ha il merito di raccontare, con grande franchezza,
anche i conflitti che ci sono stati all’interno dei “movimenti”. Chi si
presenta come difensore dei consumatori, chi promette di far risparmiare o
recuperare soldi, spesso ha grande successo e visibilità; è quindi
comprensibile che questa visibilità sia stata talvolta contesa fra persone e
associazioni su chi è più consumerista di chi. Una storia ben nota: quante
volte si è assistito a simili contese anche nei movimenti ambientalisti su chi
è più verde di chi ? Con ulteriori complicazioni quando i partiti politici
hanno cercato di cavalcare la richiesta dei consumatori di maggiori difese e
diritti.
L’analisi coraggiosa di queste contraddizioni fra chi si
propone di migliorare la società induce a ritenere che forse un lavoro comune
sarebbe più efficace per combattere il vero comune nemico, l’avidità di quello
che perfino il Papa Francesco chiama ”il dio denaro”.
Dal mio punto di vista, peraltro, vorrei modestamente suggerire
al “consumerismo” di dedicare più forze alla informazione proprio sulle merci:
come sono fatte, quali materiali contengono, da quali paesi vengono, con quali
lavoratori (e dolori) sono state ottenute, quale effetto hanno sull’ambiente, come
sono contraddistinte: “le merci parlano” attraverso le etichette, ma spesso ben
poco sono ascoltate. Una pedagogia delle merci aiuterebbe anche a far capire ai
cittadini-consumatori che le cose contano più dei soldi, il lavoro più dell’apparire,
e, infine, che la conoscenza ci rende liberi.
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