martedì 14 gennaio 2014

SM 3623 -- Nutrire il pianeta -- 2014

La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 14 gennaio 2014

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

L’Italia sta correndo a gambe levate verso l’Esposizione universale di Milano, l’Expo 2015, che aprirà i battenti fra poco più di quattrocento giorni e che si pensa attirerà a Milano e in Italia, dal 1 maggio al 31 ottobre 2015, molti milioni di persone e molti miliardi di euro. Il tema sarà: “Nutrire il pianeta. Energia per la vita” e sottintende che, fra l’altro, l’Italia presenterà al mondo i suoi successi nel campo dei prodotti alimentari, la principale fonte di esportazione ”di eccellenza”. Ci sono frenetiche attività intorno alla costruzione della città dell’Expo, alla periferia nord-ovest di Milano, aumenta la martellante pubblicità sulle virtù della buona cucina, sui rapporti fra cibo e salute e bellezza, sui “nuovi” alimenti; ma sarebbe anche l’occasione per ricordare che il cibo che arriva sulla nostra tavola, talvolta abbondante e raffinato, talvolta esposto a sprechi, è il risultato di una gigantesca catena di attività agricole, industriali e commerciali svolte da milioni di persone in tutto il mondo, nei campi, nelle fabbriche, nei negozi.
Se davvero si vorrà rispondere alla domanda “come nutrire il pianeta” sarà il caso di dedicare un po’ di attenzione all’intera catena alimentare. E anche di ricordare, perché no?, che il Mezzogiorno d’Italia ha avuto ed ha un ruolo importante nella produzione alimentare italiana ed europea, di ritrovare l’orgoglio dell’agricoltura che è il settore più importante, primario, come si suol dire, dell’economia, anche se talvolta mortificato, per motivi speculativi che provocano l’abbandono di terreni che sarebbero fertili e produttivi. Il discorso della produzione agricola e alimentare è importante anche dal punto di vista ambientale perché dipende, più di qualsiasi altra attività economica, dai grandi cicli naturali che forniscono le materie prime per la merce più irrinunciabile, il cibo.

Ogni persona per vivere ha bisogno, in media, ogni anno di circa 500 chilogrammi di alimenti costituiti principalmente da carboidrati, come lo zucchero o l’amido dei cereali o delle patate, da grassi come gli oli e il burro, da proteine provenienti dagli alimenti vegetali ed animali (le proteine della carne, delle uova e del latte sono di qualità biologica migliore di quella delle proteine dei cereali) e da fibre cellulosiche contenute nelle verdure e nella frutta. Il “valore” degli alimenti si misura in unità energetiche (circa 2500 chilocalorie al giorno, pari a circa 10 megajoule al giorno) che vanno integrate con circa 50 grammi al giorno di proteine. I 500 chili di alimenti “consumati” ogni anno da una persona contengono circa la metà del peso di acqua e ad essi vanno aggiunti circa 1000 chili all’anno di acqua “alimentare”.

La “storia naturale” degli alimenti comincia nei campi e nei prati in cui l’energia solare, utilizzando l’anidride carbonica dell’aria e l’acqua del suolo, “produce” la biomassa vegetale. Le sostanze adatte per l’alimentazione umana sono una piccola parte di tale biomassa vegetale; occorrono fra due e cinque chili di biomassa per ottenere un chilo di semi di grano o di mais o un chilo di zucchero, o un chilo di olio; il resto è costituito da materiali per lo più cellulosici, che in gran parte rappresentano i residui e rifiuti dell’agricoltura. Dei prodotti dotati di valore nutritivo una parte viene destinata all’alimentazione degli animali, anche qui con forti perdite.

Occorrono circa dieci chili di alimenti vegetali per produrre un chilo di carne o di latte; il resto è rappresentato dai gas emessi con la respirazione e dagli escrementi di bovini, maiali, pollame di allevamento. L’agricoltura e la zootecnia assorbono grandi quantità di acqua; i campi devono essere “nutriti” con acqua che in parte è fornita dalle piogge e in parte viene distribuita dai sistemi di irrigazione; non è facile calcolare il “costo in acqua”, alcuni ecologi lo chiamano “impronta in acqua”, dei prodotti agricoli e degli alimenti; in genere si tratta di qualche migliaia di chili di acqua per ogni chilo di grano o di patate; occorre acqua per dissetare gli animali da allevamento e altra acqua per tutte le fasi successive della storia naturale del cibo. Infatti la parte alimentare dei prodotti agricoli o della zootecnia non arriva mai direttamente nelle nostre case.

I prodotti che troviamo nel negozio o la carne che compriamo dal macellaio sono il risultato di lunghe e complesse attività di trattamento, trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli e zootecnici, svolte dall’industria agroalimentare. Migliaia di mulini e pastifici, fabbriche di birra e vino, di impianti di estrazione e lavorazione dei grassi, di macelli e di fabbriche di burro e formaggio, di fabbriche di conserve vegetali e animali, di dolciumi, di industrie che producono margarina e additivi alimentari; una grande catena che richiede metalli, plastica, prodotti chimici, acqua ed energia, e lavoro umano, fino ad arrivare nelle cucine delle famiglie, dei ristoranti e delle mense dove occorre altra acqua ed energia.

Ma il ciclo non è finito neanche qui perché ciascuna di queste operazioni, nei campi, negli allevamenti, nelle fabbriche e nella vita domestica, genera acque inquinate che finiscono nel sottosuolo e rifiuti solidi che finiscono nelle discariche e negli inceneritori. Spesso si tratta di cibo buttato via perché comprato in eccesso o lasciato scadere o rifiutato dalle famiglie e dai ristoranti; si calcola che questi sprechi alimentari, solo in un paese come l’Italia, ammontino ad alcuni milioni di tonnellate all’anno. “Nutrire il pianeta” può essere, oltre che lo slogan di una grande esposizione merceologica, un invito a ripensare il nostro comportamento in un pianeta di risorse limitate e di bocche affamate.


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