Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Si fa presto a dire pattume: il recente (1993) volume di
"Statistiche ambientali", pubblicato dall'ISTAT (l'Istituto Nazionale
di Statistica) --- 25.000 lire spese bene per avere un quadro dettagliato degli
inquinamenti, dei rifiuti e degli incendi del nostro paese --- spiega che nel
1991 l'Italia ha prodotto 20 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani,
quelli che escono ogni giorno dalle nostre case.
Le città producono ogni anno altri 40 milioni di tonnellate
di rifiuti che la legge definisce "speciali" (il cui smaltimento
richiede particolari accorgimenti): fra questi i rottami di demolizione degli
autoveicoli ammontano a un milione e mezzo di tonnnellate all'anno. 35 milioni
di tonnellate di rifiuti sono prodotti ogni anno dalle attività industriali e
di questi oltre 3 milioni di tonnellate
sono considerati "tossici e nocivi", cioè veramente pericolosi per la
salute e la natura. In tutto, poco più o poco meno, ogni anno 100 milioni di
tonnellate di rifiuti solidi, un peso superiore a quello del petrolio e
del carbone che entrano ogni anno nel sistema economico italiano.
La raccolta, la movimentazione, il trasporto e lo "smaltimento" di questa ingentissima
massa di materiali sono sottoposti a leggi abbastanza severe, anche se per lo
più tali leggi vengono poco rispettate: i vincoli imposti dalla legge
disturbano, naturalmente, il mondo che gira intorno all'affare dei rifiuti:
60.000 miliardi di lire all'anno, una
cifra che si presta bene anche ad attrarre attività illecite.
Perché la quasi totalità dei rifiuti va perduta, pur
contenendo materiali che potrebbero essere riutilizzati ? Le favorevoli
prospettive della raccolta separata dei rifiuti al fine del riciclaggio dei
materiali ricuperabili sono esposte bene e dettagliatamente nel recente
libretto intitolato "Riciclo
riciclo", pubblicato dall'editrice Verde Ambiente (Corso Vittorio Emanuele 251, 00186 Roma, numero verde
l67.866158). E' noto (se ne è parlato più volte anche in queste pagine) che, in
via di principio, sarebbe possibile ridurre anche della metà la massa dei
rifiuti utilizzando decine di migliaia di tonnellate all'anno di carta,
metalli, vetro, plastica e innumerevoli altre sostanze presenti nei rifiuti,
come materie prime di nuovi cicli produttivi.
L'insuccesso del riciclo su larga scala è dovuto al fatto
che chi dovrebbe riutilizzare le merci usate --- carta, vetro, alluminio,
plastica --- spesso non trova soddisfacente la loro qualità e magari importa
rifiuti e scarti dall'estero, dove sono di qualità migliore. La carta mista
raccolta nelle famiglie e nelle scuole si
presta poco e male quando si tratta di trarne carta nuova, perché è una miscela di carta di
giornali, riviste, pubblicità, carta da imballo, molto eterogenea e contaminata di plastica, punti
metallici, eccetera; le industrie che producono carta nuova dalla carta
straccia preferiscono importare tale materia dagli Stati Uniti o dalla Germania.
Proprio gli stessi gruppi economici che finora hanno
scoraggiato il recupero dei rifiuti, adesso hanno scoperto una improvvisa
passione per l'ecologia. Per sfuggire ai vincoli e agli adempimenti burocratici
--- denunce, dichiarazioni alle autorità sanitarie, eccetera --- a cui, come si
è detto, è soggetto il traffico dei rifiuti, gli "eco-imprenditori"
hanno avviato una azione di pressione sul governo con la seguente tesi: se il
ministero dell'ambiente elimina
gli attuali vincoli sui rifiuti, noi ci
mettiamo di lena a riciclare tutto quella che volete. Fra l'altro il recupero
di materiali e di energia dai rifiuti è espressamente richiesto da direttive
comunitarie che l'Italia, come al solito, viola regolarmente.
Il governo ha allora emanato un decreto legge, pubblicato
nei giorni scorsi, che alleggerisce i vincoli burocratici quando un rifiuto può essere considerato un
"residuo", cioè quando è suscettibile di fornire materie prime ed
energia per successive utilizzazioni. Ci troveremmo, quindi, di fronte alla
seguente situazione: uno scarto o un oggetto usato è considerato un rifiuto se
nessuno lo vuole, se nessuno è disposto ad acquistarlo o ritirarlo per
trattarlo e ottenerne qualche materia utile; in questo caso deve andare alla
discarica o all'incenerimento, sottostando ai vincoli in vigore adesso.
Se invece c'è qualcuno che è disposto a comprare un rifiuto
per trattarlo, modificarlo, separarne materiali utili --- materiali che sono
chiamati "materie seconde",
per distinguerli dalle "materie
prime" che sono i minerali o i materiali richiesti dai vari cicli
produttivi --- allora si è in presenza di "residui" che possono
essere maneggiati con procedure burocratiche
molto semplificate.
Molti ritengono che si tratti di un trucco degli eco-furbi
per liberarsi dai controlli: vedremo intanto se il decreto-legge è approvato dal Parlamento. Fin da ora vorrei
invece discutere alcuni aspetti che possono riguardare da vicino ciascuno di
noi. Perché un rifiuto sia classificato "residuo", cioé materiale da
cui trarre "materie seconde", deve possedere determinate caratteristiche.
Mi spiego con un esempio. Tante volte è stata sottolineata
l'importanza di recuperare il vetro
usato, separandolo dagli altri rifiuti, perché può esserne ricavato
nuovo vetro: le bottiglie usate quindi, con la nuova legge passerebbero da
rifiuti a residui. Quando voi ed io pensiamo al vetro usato ci riferiamo alle bottiglie di vino e birra,
alle confezioni di marmellata e conserve, e così via. Non è difficile ottenere
nuovo vetro da questi residui e la raccolta
separata del vetro usato è raccomandabile dal punto di vista ecologico,
del risparmio delle materie prime e del
risparmio energetico.
Però il vetro usato comprende anche il vetro degli schermi
dei televisori e dei calcolatori
elettronici, il vetro della lampade fluorescenti, e in questi scarti il
vetro è miscelato con sostanze chimiche, alcune delle quali tossiche. Non si
può quindi accettare che questi rifiuti
industriali di vetro vengano riutilizzati, se non si vuole correre il
rischio che le nuove bottiglie siano contaminate con sostanze che possono
essere nocive.
Bisognerà allora cominciare a definire i caratteri dei vari
rifiuti per stabilire se possono essere
riconosciuti come residui, o come materie seconde e se ne è accettabile
il riciclo.
Finora si è sviluppata una conoscenza della merceologia dei
prodotti commerciali: i trattati di merceologia spiegano esattamente che
caratteri chimici e fisici devono avere l'olio, la pasta, la marmellata,
eccetera, quali ingredienti sono ammessi e quali sono vietati, come si fa a
riconoscere la genuinità delle merci e a svelare le frodi. Adesso comincia a
nascere una merceologia dei rifiuti, dei residui, delle materie seconde.
Per ciascuno di essi dovrà essere stabilito quali sostanze
sono tollerate e quali no, tanto più che anche nel commercio di rifiuti,
residui e materie seconde si presentano subito possibilità di frodi. Una
eco-impresa, per tornare al caso di prima, che raccoglie vetri di televisori e
di lampade fluorescenti usati, potrebbe essere tentata, per evitare i vincoli
imposti ai rifiuti, di
"promuovere" questi rifiuti a "residui" vendendoli, o
facendo credere di venderli, a qualche riutilizzatore.
Il fatto è che se le merci sono migliaia, i tipi di rifiuti
e di residui sono centinaia di migliaia.
Se, bene o male, gli studiosi di merceologia si sono attrezzati per il
controllo della qualità delle merci, adesso devono cominciare ad affrontare
nuovi problemi per identificare i caratteri di innumerevoli residui che possono
contenere altrettanto innumerevoli sostanze, alcune delle quali dannose o
pericolose, riconoscibili soltanto se si conoscono a fondo i processi
produttivi, i sottoprodotti, le reazioni che si hanno nelle fasi di produzione
e di consumo: un compito gigantesco,
anche se molto affascinante.
Vale la pena fare tanta fatica ? Se sarà approvata una legge
che, anche in coerenza con le norme comunitarie, facilita e incoraggia il
riciclo di una parte dei rifiuti, una caratterizzazione scientifica dei rifiuti,
dei residui e delle materie seconde è indispensabile. Occorreranno centinaia di
chimici, fisici, biologi, per i quali c'è lavoro nelle strutture pubbliche ma
anche in laboratori privati di controllo in grado di affrontare i nuovi
compiti. C'è, se mai, il problema di dove cercare e di come qualificare questi
specialisti di ... "rifiutologia".
C'è un importante sottoprodotto: se capiremo meglio che cosa
succede in un processo di fabbricazione delle merci --- per esempio nella
fabbricazione delle lamiere di ferro, delle automobili, delle conserve
alimentari --- potremo essere indotti a modificare i vari processi in modo da evitare che nelle scorie o negli
oggetti finiscano componenti e sostanze che ne impediscono la riutilizzazione,
dopo l'uso.
La salvezza dalle montagne dei rifiuti potrebbe quindi
essere cercata in una nuova progettazione delle merci --- automobili,
televisori, carta, indumenti --- che tenesse conto della necessità di
riutilizzare la maggior parte possibile degli ingredienti quando ciascuna merce
avrà concluso la sua vita utile. Se falliremo le montagne di rifiuti intorno a
noi aumenteranno di altezza e l'Italia sarà costretta, ad importare, oltre al
petrolio, ai minerali e all'olio di oliva, anche rifiuti da riciclare !
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