La Gazzetta del Mezzogiorno, lunedì 19 agosto
2013
Benito Leoci, Università del Salento bleoci@yahoo.it
Chiunque ultimamente si è trovato a percorrere la statale
106, che va da Taranto a Reggio Calabria, costeggiando lo Jonio, avrà notato,
specie nel tratto Crotone – Soverato, enormi cumuli di rifiuti urbani
ammucchiati presso i cassonetti ubicati nei vari comuni attraversati. Per la
zona di Soverato, una delle più belle della Calabria, si profila un danno di
notevoli dimensioni, vista la vocazione turistica della stessa. Nel recente
passato è toccato a Napoli, Foggia e Palermo, per citare le più note. Mentre si
assiste ad un generale deterioramento del servizio di raccolta rifiuti, allo
stesso tempo si nota un continuo aumento della tariffa (o meglio tassa) a
carico degli utenti. Come mai?
Le cause sono diverse. Può verificarsi che la ditta
appaltatrice entri in crisi o perché afflitta da problemi economici o per
incapacità a gestire il servizio o perché il comune non corrisponde nei tempi
dovuti il canone previsto. Quest’ultimo evento non dovrebbe verificarsi visto
che la spesa non rientra nel “patto di stabilità”. In realtà diversi comuni
usano distogliere le relative somme per sovvenzionare altri servizi, perfino
per sostenere feste patronali…Può verificarsi anche che l’impianto di
smaltimento/recupero cessi di operare per vari motivi: guasti, esaurimento
della volumetria disponibile (per le discariche), interventi della magistratura
con relativo sequestro, sommosse popolari. Va da se che in questi casi si è
costretti a reperire altri siti di smaltimento, spesso più lontani, perfino
all’estero, con conseguenti maggiori costi.
Spesso i costi di trasporto sono notevoli anche in
condizioni normali al di là delle emergenze, in quanto gli impianti raramente
si trovano nelle vicinanze dei luoghi di produzione dei rifiuti. Un caso
emblematico, ma non l’unico, è quello di Vieste che è costretto ad inviare i
propri rifiuti all’impianto di Cerignola distante oltre 100 km. Fra le cause
citate, le più difficili da fronteggiare sono le manifestazioni popolari, che
nascono dal timore, spesso infondato, delle popolazioni di subire danni dalla
gestione degli impianti, previsti dalla Regione. Si tratta della famosa
sindrome NIMBY, acronimo della frase inglese Not In My Back Yard (Non nel mio cortile), nota negli USA sin dagli
anni ’70. Sindrome che raggiunge l’apice quando si tratta di discariche o di
inceneritori (beffardemente ribattezzati “termovalorizzatori” per attutire l’impatto
emozionale).
Occorre ricordare che le discariche rappresentano il sistema
più economico di smaltimento, nel mentre gli inceneritori, specie se con
recupero di energia elettrica, il più costoso. Fino alla fine degli anni ’90 lo
Stato si accollava, tramite i Fondi FIO, il costo di questi impianti altrimenti
non sostenibile dai comuni e quindi dagli utenti. Circa le discariche la loro
cattiva fama deriva da una cattiva gestione del passato, quando erano del tutto
incontrollate, soggette ad incendi, e accoglievano qualsiasi tipo di rifiuto
anche quelli pericolosi prodotti dalle industrie. Attualmente si tratta di
impianti assolutamente innocui, se realizzati e gestiti secondo le norme
europee (in Italia la legge 36/03). Vengono denominate “discariche controllate”
(in inglese “Sanitary landfill”), proprio a significare l’inesistenza di
impatti ambientali.
Le norme europee e il conseguente Decreto Legislativo.152/06
(il cosiddetto “codice dell’ambiente”), pongono le discariche controllate
all’ultimo posto fra i sistemi di smaltimento, non perché pericolose ma in
quanto comportano spreco di risorse. Le tecnologie sono infatti per loro natura
neutre, ovvero né buone, né cattive. E’ il loro uso che le rende innocue o
dannose. Ma anche l’ultima moda della raccolta differenziata “porta a porta”
dei rifiuti, comporta un notevole aggravio di costi, per via del maggiore
impiego di manodopera. Sistema che oltre ad essere pericoloso per il continuo contatto con i rifiuti da parte degli
addetti, non si presta comunque per la raccolta dai complessi condominiali,
molto diffusi nei grandi centri. L’utilizzo dei cassonetti aveva eliminato
questi inconvenienti. E’ evidente che bisogna perseguire non la “raccolta” differenziata ma il “conferimento” differenziato: sistema che
ultimamente sta sperimentando l’Azienda Municipale per l’Igiene Urbana (AMIU)
di Bari. Quando è l’utente a differenziare i propri rifiuti nelle varie
frazioni (carta, plastica, ecc.) conferendole nei contenitori posti nelle
vicinanze, i costi si abbassano drasticamente e si persegue la sicurezza sul
lavoro degli addetti.
La via da percorrere per risolvere i vari problemi a costi
accettabili è dunque praticabile se si adotta una capillare opera di
sensibilizzazione/coinvolgimento dei cittadini-utenti pere indurre la convinta
accettazione degli impianti di smaltimento/trattamento, fornendo la certezza
della loro innocuità, da garantire tramite opportuni controlli, magari da
affidare agli stessi utenti riuniti in associazioni. Abbandono del costoso sistema
di raccolta “porta a porta”, a favore del conferimento differenziato da parte
degli utenti. Questo già avviene in molti comuni, specie del Nord Italia e nei
paesi del Nord Europa, che guardano agli episodi citati sempre più stupiti dal
dissennato spreco di risorse, accompagnato dal peggioramento dell’ambiente.
Alle mamme che vanno a manifestare in buona fede i loro
timori per la presenza di un impianto di smaltimento, andrebbe spiegato che i
veri pericoli nascono dall’abbandono incontrollato dei rifiuti sulle pubbliche
vie, sia per il proliferare di insetti e di animali nocivi, sia per il pericolo
di incendi, questi sì, in grado di indurre gravi malattie o malformazioni di
ogni genere.
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