giovedì 22 agosto 2013

B:Leoci -- Come e dove smaltire i rifiuti -- 2013


La Gazzetta del Mezzogiorno, lunedì 19 agosto 2013

Benito Leoci, Università del Salento bleoci@yahoo.it

Chiunque ultimamente si è trovato a percorrere la statale 106, che va da Taranto a Reggio Calabria, costeggiando lo Jonio, avrà notato, specie nel tratto Crotone – Soverato, enormi cumuli di rifiuti urbani ammucchiati presso i cassonetti ubicati nei vari comuni attraversati. Per la zona di Soverato, una delle più belle della Calabria, si profila un danno di notevoli dimensioni, vista la vocazione turistica della stessa. Nel recente passato è toccato a Napoli, Foggia e Palermo, per citare le più note. Mentre si assiste ad un generale deterioramento del servizio di raccolta rifiuti, allo stesso tempo si nota un continuo aumento della tariffa (o meglio tassa) a carico degli utenti. Come mai?
Le cause sono diverse. Può verificarsi che la ditta appaltatrice entri in crisi o perché afflitta da problemi economici o per incapacità a gestire il servizio o perché il comune non corrisponde nei tempi dovuti il canone previsto. Quest’ultimo evento non dovrebbe verificarsi visto che la spesa non rientra nel “patto di stabilità”. In realtà diversi comuni usano distogliere le relative somme per sovvenzionare altri servizi, perfino per sostenere feste patronali…Può verificarsi anche che l’impianto di smaltimento/recupero cessi di operare per vari motivi: guasti, esaurimento della volumetria disponibile (per le discariche), interventi della magistratura con relativo sequestro, sommosse popolari. Va da se che in questi casi si è costretti a reperire altri siti di smaltimento, spesso più lontani, perfino all’estero, con conseguenti maggiori costi.

Spesso i costi di trasporto sono notevoli anche in condizioni normali al di là delle emergenze, in quanto gli impianti raramente si trovano nelle vicinanze dei luoghi di produzione dei rifiuti. Un caso emblematico, ma non l’unico, è quello di Vieste che è costretto ad inviare i propri rifiuti all’impianto di Cerignola distante oltre 100 km. Fra le cause citate, le più difficili da fronteggiare sono le manifestazioni popolari, che nascono dal timore, spesso infondato, delle popolazioni di subire danni dalla gestione degli impianti, previsti dalla Regione. Si tratta della famosa sindrome NIMBY, acronimo della frase inglese Not In My Back Yard (Non nel mio cortile), nota negli USA sin dagli anni ’70. Sindrome che raggiunge l’apice quando si tratta di discariche o di inceneritori (beffardemente ribattezzati “termovalorizzatori” per attutire l’impatto emozionale).

Occorre ricordare che le discariche rappresentano il sistema più economico di smaltimento, nel mentre gli inceneritori, specie se con recupero di energia elettrica, il più costoso. Fino alla fine degli anni ’90 lo Stato si accollava, tramite i Fondi FIO, il costo di questi impianti altrimenti non sostenibile dai comuni e quindi dagli utenti. Circa le discariche la loro cattiva fama deriva da una cattiva gestione del passato, quando erano del tutto incontrollate, soggette ad incendi, e accoglievano qualsiasi tipo di rifiuto anche quelli pericolosi prodotti dalle industrie. Attualmente si tratta di impianti assolutamente innocui, se realizzati e gestiti secondo le norme europee (in Italia la legge 36/03). Vengono denominate “discariche controllate” (in inglese “Sanitary landfill”), proprio a significare l’inesistenza di impatti ambientali.

Le norme europee e il conseguente Decreto Legislativo.152/06 (il cosiddetto “codice dell’ambiente”), pongono le discariche controllate all’ultimo posto fra i sistemi di smaltimento, non perché pericolose ma in quanto comportano spreco di risorse. Le tecnologie sono infatti per loro natura neutre, ovvero né buone, né cattive. E’ il loro uso che le rende innocue o dannose. Ma anche l’ultima moda della raccolta differenziata “porta a porta” dei rifiuti, comporta un notevole aggravio di costi, per via del maggiore impiego di manodopera. Sistema che oltre ad essere  pericoloso per il continuo contatto con i rifiuti da parte degli addetti, non si presta comunque per la raccolta dai complessi condominiali, molto diffusi nei grandi centri. L’utilizzo dei cassonetti aveva eliminato questi inconvenienti. E’ evidente che bisogna perseguire non la “raccolta” differenziata ma il “conferimento” differenziato: sistema che ultimamente sta sperimentando l’Azienda Municipale per l’Igiene Urbana (AMIU) di Bari. Quando è l’utente a differenziare i propri rifiuti nelle varie frazioni (carta, plastica, ecc.) conferendole nei contenitori posti nelle vicinanze, i costi si abbassano drasticamente e si persegue la sicurezza sul lavoro degli addetti. 

La via da percorrere per risolvere i vari problemi a costi accettabili è dunque praticabile se si adotta una capillare opera di sensibilizzazione/coinvolgimento dei cittadini-utenti pere indurre la convinta accettazione degli impianti di smaltimento/trattamento, fornendo la certezza della loro innocuità, da garantire tramite opportuni controlli, magari da affidare agli stessi utenti riuniti in associazioni. Abbandono del costoso sistema di raccolta “porta a porta”, a favore del conferimento differenziato da parte degli utenti. Questo già avviene in molti comuni, specie del Nord Italia e nei paesi del Nord Europa, che guardano agli episodi citati sempre più stupiti dal dissennato spreco di risorse, accompagnato dal peggioramento dell’ambiente.

Alle mamme che vanno a manifestare in buona fede i loro timori per la presenza di un impianto di smaltimento, andrebbe spiegato che i veri pericoli nascono dall’abbandono incontrollato dei rifiuti sulle pubbliche vie, sia per il proliferare di insetti e di animali nocivi, sia per il pericolo di incendi, questi sì, in grado di indurre gravi malattie o malformazioni di ogni genere.


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