La Gazzetta del
Mezzogiorno, 19 ottobre 2012
Benito Leoci, Università
del Salento bleoci@yahoo.it
Il 24 agosto 2012 nel
Bollettino Ufficiale della Regione Puglia è apparsa la legge regionale n. 24
avente uno strano titolo: “Rafforzamento delle pubbliche funzioni
nell’organizzazione e nel governo dei Servizi pubblici locali”. Dalla lettura
dell’articolato si apprende che in pratica si tratta del solo servizio di
raccolta e trasporto dei rifiuti urbani, quelli prodotti nelle abitazioni, per
intenderci. Circa gli altri servizi ovvero i trasporti pubblici e la fornitura
di acqua potabile, si nota che il primo viene solo sfiorato e il secondo
semplicemente ignorato.
D’altra parte come si
poteva chiedere alla Regione di mettere le mani sull’acqua dopo un referendum
che ha indicato una precisa volontà popolare, in una regione dove da sempre
opera un Ente pubblico che tutto sommato fornisce l’acqua più sana di tutta
l’Italia? Certo, molto è da migliorare, ma per questo non c’è bisogno di una
legge.
Quella sopra citata si
occupa di una parte del servizio di gestione dei rifiuti ed è il frutto di
diversi disegni di legge, l’ultimo dei quali modificato ulteriormente il 3
agosto dopo una lunga discussione, presenta molte lacune e contraddizioni.
Molti relatori in aula, alcuni dei quali costretti a rientrare dalle ferie,
avevano chiaramente manifestato la loro perplessità sulla fretta imposta e
sull’odore di incostituzionalità dell’intera impalcatura (aspetti però stranamente
negati con veemenza dal capogruppo del PDL). Ora si corre il rischio che
qualcuno (l’Associazione Nazionale Comuni d’Italia ?) faccia ricorso alla
Consulta per l’annullamento, dopo di che occorrerà cominciare da capo.
La legge infatti
obbligherebbe i comuni a riunirsi in Ambiti Regionali Ottimali (ARO) per
gestire la fase di raccolta e trasporto dei rifiuti e in Ambiti Territoriali
Ottimali (ATO), coincidenti con le Province, per gestire lo
smaltimento/trattamento. Accade però che quest’obbligo cozza con l’art. 117
della Costituzione. In altre parole i comuni possono volontariamente unirsi o
consorziarsi fra di loro ma non possono essere obbligati a farlo, se non da una
legge dello Stato. E proprio il 3 agosto 2012 era in vigore il Decreto Legge n.
95, convertito il 7 agosto successivo nella legge n 135, che afferma
chiaramente, all’art. 19, che i comuni sono gli esclusivi titolari della
gestione dei rifiuti urbani. Ma l’annullamento della legge sarebbe un bene o un
male? Il settore andrebbe in tilt?
Conviene esaminare alcuni
aspetti. La legge, con le norme transitorie (comma 1 dell’art. 24), vieta ai
comuni “di indire nuove procedure di gara” a partire dal 24 agosto 2012. Anzi
perfino le gare in atto ma non concluse verrebbero bloccate e annullate al momento
della “pubblicazione della deliberazione della Giunta Regionale di
perimetrazione degli ARO…” (comma 2 dello stesso articolo 24). Su queste
disposizioni, sulle quali il Consiglio ha discusso a lungo, che sono anch’esse
in netto contrasto con le analoghe dettate dall’art. 198, comma 1, del Codice
dell’Ambiente, che sembrano incerte (quando inizia una procedura di gara?), si
appuntano le preoccupazioni di tutti gli interessati al servizio: imprese
appaltatrici e comuni.
Se qualcosa si inceppa o
la procedura di attuazione degli ARO subisce ritardi, che faranno i comuni, e
sono tanti, i cui contratti di appalto sono scaduti, visto che non potranno
concedere proroghe né attivare procedure di gare? Se però vengono attivati gli
ARO (dopo quanto tempo visti i precedenti fallimentari di attivazione degli
ATO?) tutto torna a posto, anzi tutto torna come prima visto che i comuni
possono agire anche singolarmente (tale è l’indicazione del comma 1 dell’art.
14).
A questo proposito
bisogna evidenziare che non si tratta di una svista, ma di un colpo di ingegno
degli estensori della legge dell’Assessorato all’Ambiente che va a totale loro
merito. L’accorpamento dei comuni in ARO o in ATO è una grande stupidaggine
introdotta anni fa dal decreto Ronchi, riprodotta poi acriticamente nelle leggi
successive. L’accorpamento di più comuni per svolgere il servizio di raccolta e
trasporto dei rifiuti non produce infatti economie di scala, anzi è vero il
contrario visto i maggiori consumi degli automezzi per passare da un comune
all’altro e i costi crescenti dei carburanti. I comuni piccoli utilizzano poco
personale e pochi mezzi, quelli grandi molto personale e molti mezzi.
Dove sono le economie?
Non così per lo smaltimento/trattamento ove gli impianti sono efficienti e più
economici al di sopra di certe dimensioni. In questi casi, quando necessario,
occorre accorpare vari comuni. Ecco dunque spiegata la via adottata
dall’Assessorato all’Ambiente della Regione Puglia: tentare di risolvere le
insipienze del legislatore nazionale senza danneggiare i comuni. Vi è però un
altro aspetto del problema da risolvere quando si vogliono adottare ARO o ATO
che siano: l’unificazione dei vari contratti di appalto in vigore nei diversi
comuni con scadenze diverse, senza provocare ricorsi e interruzioni di servizi.
Su questo aspetto sono arenati, nel recente passato, tutti i tentativi di
indire gare per appaltare i servizi a livello di ATO (fino a 20 – 25 comuni da
mettere insieme). Su questo punto i funzionari dell’Assessorato encomiabilmente
tentano una soluzione parziale con l’art. 14.
Una legge dunque con
molti aspetti positivi e alcuni errati, come sempre accade. Per evitare ricorsi
alla Consulta o per vanificarli sarebbe opportuno procedere con opportuni
emendamenti. Da sempre i comuni hanno gestito in proprio in maniera razionale
ed efficiente il servizio. Occorre aiutarli nelle fasi di recupero/smaltimento,
senza dimenticare i rifiuti speciali se si vuole seriamente salvaguardare
l’ambiente, aiutare le imprese e bloccare le ecomafie sempre in agguato.
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