Roma, febbraio 2009
Storia ed evoluzione della Gomma naturale
La gomma naturale ha una storia che risale a innumerevoli secoli or sono. Tale materiale viene ricavato da una pianta comunemente chiamata "albero della gomma", appartenente alla famiglia delle Euforbiacee, comprendente una ventina di specie.
Sebbene siano diffuse un po’ in tutto il nuovo continente, risulta però essere migliore l'Hevea brasiliensis, presente nel Brasile settentrionale, specialmente nella regione dell'Amazzonia.
Il carattere più importante della pianta è la presenza di un lattice in vasi lactiferi della corteccia e della zona liberiana.
La prima descrizione dell’Hevea Brasiliensis ci proviene da Charles-Marie de Condamine. Nel 1736 partì alla volta dell’Ecuador, attraverso la foresta pluviale, a capo di una missione scientifica allo scopo di misurare la lunghezza di un grado di longitudine all'equatore. Ma egli finì per trovare molto di più.
Si imbatté nei Tsachali, popolo indigeno della foresta. Essi mostrarono come, tagliando superficialmente la corteccia dell’Hevea, ne fuoriusciva un liquido lattiginoso bianco, chiamato caoutchouc (legno che piange). Lo usavano in genere per rendere impermeabile qualunque cosa, perfino le canoe con cui risalivano il fiume, o, utilizzando stampi ottenuti da foglie, per riscaldamento ottenevano la gomma in varie forme.
Rimase così impressionato da questo caoutchouc che chiederà ai Tsachali di fare una borsa di gomma per proteggere i suoi strumenti scientifici delicati. Al suo ritorno in Francia, portò alcuni campioni da studiare e sottoporre all’attenzione del mondo scientifico. Fino alla scoperta del caucciù, era mancato in Europa un materiale elastico veramente impermeabile all'acqua e all'aria.
Prima, chimici e pompieri dovevano accontentarsi di manichette di cuoio, che perdevano ad ogni cucitura; stivali e abiti da pioggia non erano mai del tutto impermeabili.
Il problema principale per gli europei era, a quel tempo, la difficoltà di conservare il caucciù; il lattice non si conservava a lungo e non poteva perciò essere spedito in Europa in forma liquida. Il caucciù poteva essere spedito solo dopo averlo fatto seccare: una volta secco, però, era troppo denso e duro per poterlo lavorare oltre. Per questo motivo, il re del Portogallo dovette spedire i suoi stivali fino in Brasile per farveli impermeabilizzare.
Tuttavia nell’euforia generale, si incominciò subito a copiare gli usi degli indigeni americani. Si producevano elastici, con i quali venivano fabbricate bretelle e giarrettiere e suole per le scarpe. Ma I primi tentativi furono molto deludenti: Tutti questi prodotti avevano due inconvenienti: primo, già a temperature normali erano appiccicosi, e lo diventavano ancora di più quando faceva caldo; secondo, quando faceva freddo diventavano sempre più rigidi e fragili.
Seguirono sporadici tentativi di utilizzare la gomma disseccata, ma con scarso successo. Questa serie di fallimenti stava per distogliere l’attenzione dal prodigioso polimero, quando accadde un fatto che rinnovò lo stupore popolare: casualmente, nel 1770, il chimico e naturalista inglese Joseph Priestley scoprì che la gomma, sfregata sulla carta, ne cancellava i segni di matita. Da qui il nome inglese del nuovo materiale, "India-Rubber" (dal verbo to rub = sfregare).
Un effettivo passo avanti si ebbe subito dopo: si osservò che la gomma risultava impermeabile ai gas e che era solubile in trementina: e così nel 1783, applicando tale soluzione ad un modulo di tela ed aspettando l’evaporazione del solvente, si ottenne per la prima volta, con un procedimento chimico, un tessuto rivestito da una sottile ed omogenea pellicola di gomma: i fratelli Montgolfier ne seppero fare buon uso. Questa piccola scoperta fu un vero proprio boom per il commercio.
Nel frattempo, un chimico francese, Macquer si occupò della produzione di tubi di gomma, spalmando la soluzione di gomma su forme di cera. Un altro francese, Grossart, tentò di fare lo stesso, avvolgendo su forme di vetro tonde strisce di gomma rese molli dalla trementina. Infine, nel 1803, fu fondata a Parigi la prima fabbrica di gomma.
Poco dopo un industriale di Glasgow, Charles Macintosh, cercando di ottenere profitto anche dagli scarti di lavorazione della sua industria (produceva ammoniaca dal catrame di carbone) scoprì che la nafta era un solvente decisamente superiore alla trementina, e insieme ad Thomas Hancock fondò uno stabilimento per la produzione di impermeabili.
Inoltre Thomas Hancock pensò di poter riciclare la gomma e così ideò e realizzò il “masticator”, macchina stridente gigante che divorando vecchi impermeabili rotti produceva grandi blocchi di gomma che poteva così essere riutilizzata piuttosto che buttata via.
In un solstizio d'estate del 1834 un commerciante all'ingrosso in bancarotta, Charles Goodyear, si presentò nel magazzino di vendita al dettaglio di New York del Roxbury India Rubber Co., il primo produttore di gomma in America. Era lì per mostrare una nuova valvola che egli aveva ideato. Il direttore scosse tristemente la testa: la società non era nel mercato delle valvole; anzi, ancora un po’, e non sarebbe rimasta in affari affatto.
E gli mostrò il perché: su una rastrelliera nel retro del negozio, tonnellate di merce di gomma erano ridotte dal tempo torrido a colla maleodorante. Gli confidò che migliaia di articoli di gomma fusi venivano restituiti da clienti oltraggiati. I direttori si erano incontrati nel cuore della notte per bruciare in una fossa 20.000 dollari di scarti puzzolenti.
La "febbre della gomma" del 1830 sembrava volgere al termine. Dapprima tutti avevano voluto oggetti della nuova gomma impermeabile dal Brasile e le fabbriche erano nate per soddisfare la domanda. Ma il pubblico si era bruscamente stufato: non una delle società di gomma era sopravvissuta più di cinque anni. Gli investitori avevano perso milioni.
Goodyear deluso, intascò la valvola, ma fu in questa occasione che decise di dedicare il resto della vita al perfezionamento della gomma: "non c'è alcuna altra sostanza", disse più tardi, "che ecciti così la mente".
Ritornando a Filadelfia, fu arrestato per debito; non era la sua prima permanenza in prigione, né l’ultima. Nella sua cella fece quindi i suoi primi esperimenti, impastando e lavorando la gomma per ore ed ore.
Se la gomma era naturalmente adesiva, rifletté, perché non aggiungere una polvere asciutta per assorbire la sua viscosità, come il talco di magnesia?… Fuori dalla prigione ottenne risultati promettenti.
Così durante l’inverno successivo, con l’aiuto della moglie, realizzò cento paia di calosce di gomma “magnesia-dried”, pronte per essere commercializzate. Ma all’arrivo dell’estate il caldo torrido ridusse tutto ad una pasta informe.
I vicini si lamentarono della sua gomma puzzolente, cosicché decise di trasferirsi a New York. Aggiunse due agenti, magnesia e calce viva e, bollendo la miscela, ottenne un prodotto migliore e di più lunga durata ma non ancora soddisfacente.
Goodyear era solito decorare gli oggetti di gomma, ed un giorno decise di rimuovere della vernice con acido nitrico da un campione che aveva intenzione di riutilizzare; ma il pezzo si rovinò e così fu gettato via. Giorni dopo, un ricordo, una sensazione lo opprimeva: aveva sentito quel pezzo di gomma annerito, in qualche modo diverso. Così lo recuperò fra i rifiuti e notò qualcosa. L'acido nitrico aveva fatto qualcosa alla gomma, l’aveva asciugata e smussata. Era la migliore gomma mai prodotta fino ad allora.
Però la grande scoperta avvenne nell'inverno del 1839. Goodyear adesso utilizzava zolfo nei suoi esperimenti, riuscendo ad ottenere una gomma più resistente ma non tanto diversa da quella non trattata. L’uno febbraio si presentò nel magazzino generale di Woburn per sottolineare la sua ultima formula gum-and-sulphur. Ma reso eccitato dalla dimostrazione, il campione di gomma gli volò dalle mani, atterrando su una stufa calda. Fu allora che le cose cambiarono: quando si piegò per raschiarlo, invece di una melassa tenera, trovò dei frammenti carbonizzati. E intorno all'area carbonizzata, un orlo marrone asciutto e perfettamente elastico. Aveva, del tutto inconsapevolmente, scoperto quello che oggi è a noi noto come processo di vulcanizzazione.
Non bastava mescolare zolfo alla gomma ma bisognava anche fornire calore. In effetti Goodyear cercava solo delle polveri che ne assorbissero la viscosità ed era del tutto ignaro, come il resto della comunità scientifica del tempo, del processo chimico che vi sta alla base. (ancora non era neanche nota la composizione chimica della gomma). Aveva creato una gomma resistente alle intemperie.
Questa scoperta è spesso citata come uno degli "incidenti" più celebri della storia, ma per Goodyear gli affari non andarono mai bene; i suoi brevetti non depositati in tempo, furono invece la fortuna del già citato Hancock. Fu quest’ultimo a mettere a punto il processo di produzione (coniando il termine vulcanizzazione, in onore a Vulcano, dio del fuoco), mescolano zolfo e gomma lasciati reagire in autoclave a 150°C. Scoprì anche che per prolungato riscaldamento si otteneva l’ebanite.
A cavallo tra la fine del XIX secolo e l’inizio del Novecento la richiesta di gomma aveva preso a crescere in misura esponenziale. Iniziava nel mondo l’era dell’automobile, e se le prime vetture adottavano ancora ruote di legno da carrozza, nel 1895 i fratelli Michelin avevano dimostrato, gareggiando nella corsa Parigi-Bordeaux-Parigi con una Panhard dotata di "pneumatici", che quegli strani tubi di gomma, fino a quel momento usati solo per le biciclette, erano ben in grado di sopportare il peso di un autoveicolo, migliorandone anzi le prestazioni.
L’Amazzonia deteneva il monopolio naturale della gomma grezza vegetale, richiesta da ogni parte del mondo. Trecento milioni di alberi, sparsi su oltre tre milioni quadrati di foresta vergine rappresentavano una ricchezza che sembrava illimitata.
Questo periodo vide lo splendore di alcune città dell’Amazzonia, ad esempio Manaus, costruita alla confluenza tra il Rio Negro e il Rio Solimoes. Manaus ha conosciuto un passato ricco grazie al caouciou, la cui estrazione ha permesso di costruire strade asfaltate ed illuminazione pubblica ancora prima che a Londra. A ricordo del passato splendore rimane il Teatro dell’Opera.
Ma la materia prima esportata dal brasile presto non fu più in grado di soddisfare alla richiesta del mercato. Il Masticator divenne inutile dato che l’eccessiva resistenza meccanica della gomma vulcanizzata la rendeva incompatibile con un processo di riciclaggio.
In India esistevano piante gommifere, ma erano di scarsa qualità. Inoltre le metodologie di estrazione del lattice portavano sempre alla distruzione della pianta. E appunto a Wickham era stato affidato dalla Gran Bretagna il compito di procurare i semi di quelle piante prodigiose. E Wickham c’era riuscito, con una romanzesca impresa, di contrabbando. Sotto le cure del dottor Hooker iniziarono così le sperimentazioni, prima in serra e poi trasportando esattamente millenovecentodiciannove pianticelle fino a Colombo, nel Ceylon, alla ricerca dei terreni e dei climi adatti in cui trapiantarle, per iniziare le vere e proprie piantagioni di alberi della gomma.
Così gli Inglesi, dopo aver diboscato ampie zone di foreste, coltivarono l'Hevea in Malesia e nell'isola di Ceylon. Successivamente gli Olandesi la diffusero nell'Indonesia, i Francesi nell'Indocina e gli Spagnoli nelle Filippine.
Quelle nazioni che non disponevano di colonie nell’opportuna area climatica, (Germania, Francia, Svizzera) si trovarono tagliati fuori da questi approvvigionamenti, e non è quindi un caso che proprio in questi paesi furono fatti i maggiori sforzi per l’ottenimento di una gomma sintetica.
La ricerca dei procedimenti per produrre gomma sintetica ha impegnato la prima metà del XX secolo ed è stata una straordinaria avventura tecnologica. Ma questa è un’altra storia.
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