Annarita Paiano, Gigliola Camaggio e Giovanni La Gioia (Università di Bari)
I biocombustibili costituiscono uno degli strumenti più idonei a raggiungere alcuni degli obiettivi della politica ambientale che l’Unione Europea (UE) intende perseguire nel settore di trasporti, così da soddisfare anche i requisiti di sicurezza e diversificazione degli approvvigionamenti energetici. I biocombustibili tradizionali, o come sono definiti di 1° generazione, basati soltanto sull’uso di materie prime agricole, sembrano non essere sufficienti al raggiungimento di questi importanti obiettivi. Al contrario, i biocombustibili prodotti a partire da biomassa lignocellulosica attraverso l’uso di processi innovativi (ad esempio quella BtL, biomass to liquid), potrebbero consentire di superare alcuni limiti. Tali biocombustibili, etichettati di seconda generazione, potrebbero rappresentare una scelta idonea per il medio e lungo termine.
L’analisi delle potenzialità di utilizzo di biomassa residuale, in particolare lignocellulosica, per la produzione di BtL diesel nella Regione Puglia ha messo in evidenza alcune delle peculiarità del sistema bioenergetico. Considerate le principali tecnologie per la produzione energetica dalla biomassa, è stato analizzato il processo BtL sulla base dell’efficienza di conversione energetica e materiale
Dopo aver individuato la reale disponibilità di biomassa residuale sul territorio pugliese, nella descrizione dei risultati e nelle conclusioni si è ipotizzata la localizzazione più idonea di un impianto di produzione di carburanti diesel col processo Fisher Tropsch (FT) da biomasse residuali. In questo si è cercato di soddisfare criteri sia di carattere economico che ambientale calcolando, per esempio le minori emissioni di gas climalteranti in base alla metodologia proposta nella parte B dell’Allegato 5 della Direttiva 28/2009/CE.
La stima delle biomasse residuali presenti sul territorio pugliese è stata effettuata al netto della quota che è già destinata ad altri usi, come la produzione di energia e/o alimenti zootecnici.
Nel calcolo della disponibilità media annuale di biomassa residuale sono state prese in considerazione alcune colture ritenute più idonee alla produzione di BtL diesel: in particolare erbacee, come grano, orzo e avena, ed altre arboree, come olivo, vite e mandorlo. L’ammontare totale dei residui per la Puglia è di poco più di un 1.000.000 t per anno, di cui circa il 54% arborei e 46% erbacei.
Esistono marcate differenze a livello delle singole aree provinciali e quella di Foggia presenta la più elevata disponibilità di residui, in maggioranza erbacei, al contrario delle altre provincie dove sono quelli arborei a prevalere, segue poi Bari. Importante, per una valutazione di tipo logistico, è l’indicatore della densità territoriale di questi residui, poiché uno dei punti più deboli di questo tipo di filiera è proprio la dispersione territoriale dei residui stessi, che tende a tradursi in alti costi di raccolta e stoccaggio. Anche questo valore è più elevato per la provincia foggiana seguita dalla provincia di Taranto e subito a seguire da Bari.
Quindi, secondo quella che è la disponibilità di materia prima in ogni provincia, mirando a minimizzare i costi economici ed ambientali e considerando un bacino di raccolta caratterizzato da un raggio di 50 km, è possibile identificare la potenziale localizzazione dell’impianto per la produzione di carburanti diesel nel territorio compreso tra le due provincie di Foggia e di Bari. Queste raccolgono circa il 73% del totale della biomassa residuale presente sul territorio pugliese e con tale disponibilità un impianto potrebbe produrre poco più di 140.000 t/a di FT diesel. I costi di investimento iniziali sono ancora elevati, sicuramente molto più alti di quelli di un impianto di produzione di biodiesel di prima generazione.
Superata la fase di avvio dell’iniziativa si potrebbe pensare di utilizzare anche i residui provenienti dalle altre provincie. In queste, infatti, potrebbero essere localizzati degli impianti di pre-trattamento che consentirebbero di ridurre le dimensioni dei residui e, di conseguenza, minimizzare i costi di trasporto; questi, usualmente, risultano elevati a causa della bassa densità di questa tipologia di biomassa che richiede più viaggi con un aggravio dei costi economici ed ambientali.
Per la Puglia, che è una delle Regioni italiane che più utilizza fonti di energia rinnovabili con il primato delle potenze installate per l’eolico e fotovoltaico, la localizzazione di un impianto di produzione di biocarburanti di seconda generazione rappresenterebbe un volano strategico e offrirebbe un importante vantaggio competitivo almeno a livello nazionale, viste le prospettive di crescita a livello mondiale di tali produzioni. Da approfondire i problemi relativi alla mancanza di manodopera specializzata, di particolari competenze tecnologiche, e al coinvolgimento dell’industria locale che dipenderebbe da competenze e macchinari di importazione.
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