lunedì 15 novembre 2010

Una merceologia "solare"

Giorgio Nebbia

La società umana procede verso il futuro utilizzando ogni anno (2009) una quantità di energia equivalente a quella "incorporata" in circa 11.000 milioni di tonnellate di petrolio, circa 460 EJ. La maggior parte di questa energia "commerciale" viene dal petrolio, dal carbone, dal gas naturale, estratti dalle viscere della Terra, materiali fossili formati, in centinaia di milioni di anni, dalla trasformazione di sostanze vegetali e animali, e non più ricostituibili nell'orizzonte temporale (ragionevolmente prevedibile) dell'umanità. A parte una piccola frazione, fortunatamente in declino, di elettricità nucleare, su scala molto minore la merce-energia viene dal moto delle acque come energia idroelettrica, un flusso assicurato dal ciclo di evaporazioni e condensazioni generato dal Sole, un flusso che ogni anno ritorna disponibile; su scala minima la merce-energia è ottenuta da impianti che trasformano la radiazione solare e l'energia del vento in elettricità. Una certa quantità di energia, nei paesi e nelle comunità povere, viene dalla combustione del legno e degli scarti agricoli, ma questa sfugge in gran parte dalle contabilità "ufficiali" internazionali, anche se alcune stime della FAO indicano che l'energia dal legno (alberi e sottoprodotti forestali) contribuirebbe per circa il 7 % quindi per circa 25-30 EJ, ai fabbisogni energetici mondiali.

La frazione di energia commerciale ottenuta da fonti rinnovabili (acqua, Sole, vento) è di poco più di 10 EJ, assolutamente irrilevante rispetto al flusso di energia che il Sole irraggia ogni anno sulla superficie della Terra, circa 3.500.000 EJ, di cui 1.000.000 EJ raggiungono le terre emerse.

In questo inizio del XXI secolo ci stiamo avvicinando ad un'era di scarsità del petrolio e, fra poco, anche di impoverimento delle riserve di gas naturale. Restano delle riserve grandi di carbone, ma la transizione ad una società del carbone richiede la soluzione di problemi geopolitici e tecnico-scientifici molto grandi: solo per citarne uno, il petrolio è liquido e fornisce facilmente frazioni liquide come quelle adatte per gli attuali motori da autotrazione; la trasformazione del carbone in carburanti da autotrazione (anche supponendo di passare attraverso processi di idrogenazione che forniscano idrogeno o metanolo) presuppone una rivoluzione a cui siamo impreparati.

Non resta che guardare con nuova attenzione al Sole che "fabbrica" ogni anno 100 miliardi di tonnellate di prodotti vegetali sulle terre emerse, che provoca il flusso, ogni anno, di 40.000 miliardi di tonnellate di acqua sulla superficie dei continenti.

Silenziosa e perfetta ogni giorno dell'anno, in qualsiasi parte della Terra, la radiazione solare fornisce l'energia necessaria per far combinare l'anidride carbonica dell'atmosfera e l'acqua tratta dall'atmosfera e dal suolo in molecole organiche (con liberazione di ossigeno che finisce nell'aria). I primi, relativamente semplici, prodotti contenenti carbonio, idrogeno e ossigeno, formati nella prima fase della fotosintesi, si trasformano, grazie all'azoto e a molti altri elementi tratti dal suolo, in una enorme varietà di molecole: carboidrati, grassi, proteine. Ed entro ciascuna "classe" di molecole la natura si sbizzarrisce, in ogni pianta, a offrire varietà e sostanze la cui conoscenza è ancora purtroppo in gran parte incompleta. Una parte di queste molecole viene utilizzata dagli "animali" che, con altrettanta fantasia, trasformano le molecole vegetali in un numero indescrivibile (perché sconosciuto) di molecole organiche

L'agricoltura "economica", e la zootecnia che da essa dipende, utilizzano soltanto un numero molto limitato delle ricchezze della natura, quelle per cui esiste uno sbocco commerciale immediato o tradizionale: eppure se si esplorassero appena un poco le sostanze vegetali presenti anche in piante minori, per il loro potenziale interesse commerciale, si scoprirebbero numerose occasioni di produzione industriale, di ricerca, di lavoro.

La "rivoluzione sintetica", cominciata nei primi decenni del XIX secolo, ha fatto sì che oggi, ad eccezione dei prodotti alimentari, almeno l'ottanta per cento degli oltre dieci miliardi di tonnellate di merci consumate ogni anno sulla Terra sia di origine "non biologica" (anche se le materie prime fossili, carbone, petrolio, gas naturale, a rigore sono di pur lontana origine biologica).

La chimica dei prodotti sintetici derivati dal petrolio ha come isterilito la fantasia e la curiosità dei naturalisti e dei chimici nei confronti dei prodotti vegetali e animali. Per la maggior parte delle persone il legno è quello dei tavoli, o dei pannelli truciolari, o la fonte di cellulosa per la carta o per vari tipi di rayon. Ma in realtà in ciascun albero si trovano numerose sostanze come le cellulose (al plurale), emicellulose, lignine, tannini, resine, eccetera, alcune delle quali hanno, in passato, alimentato attività industriali e potrebbero essere utilizzate in futuro per molte altre.

Le condizioni geopolitiche ed i conflitti che hanno escluso alcuni paesi dall'accesso ad alcune materie prime (si pensi all'autarchia nei periodi sovietico, fascista e nazista); o le occasionali eccedenze di prodotti agricoli (nel periodo della grande crisi negli Stati uniti); o il temporaneo aumento di prezzo e scarsità di alcune materie prime (per esempio durante la "crisi petrolifera" degli anni settanta del secolo scorso), hanno indotto di tanto in tanto a riesaminare le risorse biologiche come fonti di materie prime e di merci; nel complesso, però, nel corso degli ultimi decenni si sono perdute conoscenze tecniche, sementi, colture batteriche, per cui diventa sempre più difficile una resurrezione di iniziative industriali basate su molte tecniche che erano importanti in passato. Sembra tuttavia possibile riconoscere alcune nuove tendenze.

La prima consiste nel fatto che appare sempre più chiaro che la dipendenza di una società mondiale da risorse destinate ad esaurirsi in quanto non rinnovabili, è "insostenibile". Al Sole e ai prodotti "rinnovabili" che il Sole produce ogni anno, sempre nella stessa quantità e sempre dello stesso tipo, è indispensabile rivolgersi per avere energia e merci per una società che sia preoccupata per il suo futuro o, come si dice, "sostenibile" (qualunque cosa questa parola significhi).

Il secondo importante motivo di interesse per le materie derivate dal Sole dipende dalla crescente attenzione per gli effetti ambientali negativi delle attuali merci: molte merci sintetiche derivate dal petrolio, salutate, alla loro comparsa, come mezzi per "liberarsi" dalla schiavitù della natura, ritenute progettabili e modificabili a piacere, non sono biodegradabili, restano a lungo inalterate dopo l'uso e creano problemi di smaltimento.Molte altre merci sintetiche (coloranti, pesticidi, additivi) si sono rivelate dannose per la salute umana e per gli ecosistemi naturali, al punto da indurre l'abbandono dei "nuovi" prodotti per tornare ai prodotti naturali. Uno dei casi più noti è quello dell'insetticida sintetico DDT, che aveva soppiantato i pesticidi a base di derivati del piretro e che, dopo alcuni anni, è stato vietato e si è dovuto di nuovo ricorrere agli stessi derivati del piretro.

La terza tendenza deriva dal fatto che la produzione delle merci sintetiche è possibile soltanto in impianti ad alta tecnologia e concentrazione di capitale e di conoscenze, quali sono disponibili soltanto nei paesi industrializzati. Tali merci sono accessibili ai paesi del Sud del mondo soltanto se essi accettano una posizione neocoloniale dominata dal capitale internazionale. Vi sono segni di una crescente insofferenza verso questa prospettiva e di una crescente attenzione per le merci che possono essere ottenute dalle grandi risorse naturali di origine biologica e continuamente rinnovabili, che molti paesi del Sud del mondo possiedono, con impianti costruiti e funzionanti sul posto. Le pubblicazioni della FAO e di altri organismi internazionali indicano chiaramente questa tendenza.

A favore della nascita o della rinascita di attività associate all'agricoltura, alle foreste, alla zootecnica, alle ricchezze della biomassa, insomma, sta il fatto che dei milioni di specie vegetali e animali esistenti in natura, soltanto alcune centinaia di migliaia sono state osservate e caratterizzate scientificamente e hanno ricevuto un "nome", e soltanto di poche centinaia sono stati esplorati a fondo i caratteri botanici, zoologici e chimici in relazione al loro uso come fonti di materie prime e merci.

Il principio dell'economia tradizionale che spinge a utilizzare soltanto le materie che assicurano una elevata resa di "denaro" per unità di superficie coltivata o per unità di peso, ha provocato un graduale impoverimento delle varietà vegetali e animali utilizzate. Tale impoverimento è stato trasferito anche nei paesi sottosviluppati da cui vengono tratte molte delle materie di interesse commerciale. L'abbandono, per motivi di prezzo, di molte merci di origine naturale ha provocato un impoverimento della diversità biologica e la scomparsa di piante da fibra o utilizzate come fonti di coloranti e di medicinali, e anche di molte specie animali che hanno avuto interesse commerciale in passato.

Un motivo di ottimismo per la ripresa dell'uso merceologico di molte risorse biologiche sta nella grandissima varietà di molecole che esse contengono: mentre "la chimica" è nata come "chimica delle sostanze naturali", l'attenzione per tali sostanze è andata declinando, proprio per il minore loro interesse commerciale. L'industria farmaceutica è probabilmente l'unica che trova ancora conveniente, per la preparazione di nuovi medicinali, partire da molecole naturali suscettibili di modificazioni.

C'è un altro aspetto interessante: la produzione commerciale di prodotti, soprattutto alimentari, nei paesi industriali comporta l'utilizzazione di tecniche di trasformazione e conservazione che generano grandi quantità di sottoprodotti ricchi di molecole organiche che spesso creano problemi di smaltimento e sono fonti di inquinamento. Si pensi ai sottoprodotti e scarti dell'industria delle conserve, dell'industria lattiero-casearia, dell'industria della macellazione e trasformazione della carne, eccetera. Si può calcolare che, ogni due kilogrammi di materia organica secca di origine biologica che entra negli attuali cicli agroalimentari, almeno un kilogrammo finisca negli scarti o addirittura nei rifiuti. Una più attenta conoscenza della composizione chimica e fisica e dei caratteri di tali scarti potrebbe consentire di ricuperare grandi quantità di merci usando come "materie seconde" tali sottoprodotti.

Fra i motivi di ottimismo per una merceologia basata su materie di provenienza "solare" sta la grande fantasia che la natura manifesta nelle proprie sintesi biologiche. Circa il 60 % della biomassa vegetale è costituita da carboidrati come zuccheri, cellulose, amidi, che sono poi i primi materiali che si formano nel processo di fotosintesi. Con tre soli atomi --- carbonio, idrogeno e ossigeno --- la natura "fabbrica", in una grandissima varietà di combinazioni, materie diversissime, talvolta accumulate per la prima fase di sviluppo dei semi, talvolta come materiali da costruzione capaci di trasportare acqua e sali inorganici dal suolo a decine di metri di altezza.

Di questa grande biomassa, disponibile in ragione di circa 60 miliardi di tonnellate all'anno, soltanto una piccola parte --- tre o quattro miliardi di tonnellate all'anno --- viene utilizzata a fini umani. L'industria della carta, che assorbe ogni anno molte centinaia di milioni di tonnellate di materiali lignocellulosici, va a cercare le proprie materie prime sulla base della necessità di ottenere della "cellulosa" standard adatta per i suoi cicli produttivi. L'industria tessile utilizza un numero molto limitato di fibre cellulosiche, rispetto alla grande varietà di materiali offerti dalla natura. L'industria chimica produce, talvolta faticosamente, per sintesi molecole che sono state e possono essere ottenute per via microbiologica dai carboidrati.

Fra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento l'attenzione dei chimici è stata rivolta ai derivati chimici della cellulosa e si è così visto che le modificazioni dei vari gruppi funzionali alcolici consentivano di ottenere numerose sostanze, per la maggior parte poi abbandonate per il loro scarso interesse finanziario immediato. Sono sopravvissuti alcuni acetati come fibre artificiali o materie per pellicole, di limitata produzione, e i nitrati utilizzati come ingredienti per esplosivi. Il successo delle pellicole di polimeri sintetici ha spazzato via l'interesse per quelle di cellulosa rigenerata (tipo cellophane) che pure presentano importanti proprietà di permeabilità ai gas, ai liquidi e di biodegradabilità.

Una migliore conoscenza dei materiali lignocellulosici --- le lignine accompagnano le cellulose in ragione di circa una parte ogni due o tre parti di cellulosa --- potrebbe dare un contributo a nuove forme di utilizzazione della carta e dei cartoni usati, di fronte ad una crescente difficoltà delle operazioni per la loro trasformazione in nuovi prodotti cartotecnici.

Le altre importanti macromolecole della classe dei carboidrati sono gli amidi, sostanze con diversissima composizione e peso molecolare, variabili da una specie vegetale all'altra e suscettibili di trasformazione in molti derivati, finora ben poco studiati. Per idrolisi chimica o microbiologica degli amidi si formano numerosissime sostanze, "le destrine", molto variabili come caratteristiche chimiche e fisiche e usate solo limitatamente. Simili considerazioni valgono per molti zuccheri, dai monosaccaridi come il glucosio, ai disaccaridi, agli zuccheri "più rari", di cui esistono grandi quantità in natura e sulle cui proprietà biologiche ben poco si sa. Molti di questi sono capaci di fornire derivati, alcuni dei quali noti dal punto di vista chimico, ma finora poco o niente studiati dal punto di vista delle proprietà tecniche che aprirebbero probabilmente le porte a molti impieghi merceologici.

Le sostanze proteiche presenti in tutti i vegetali ed animali, rappresentano le pietre fondamentali per tutti i fenomeni biologici. La natura, con infinita fantasia, partendo da un limitato numero di amminoacidi, che sono le "pietre fondamentali" delle proteine, ha predisposto i comuni materiali da costruzione per organi vitali tanto diversi fra loro. Nelle pareti cellulari delle foglie, nel sangue animale, nelle ali delle farfalle, troviamo proteine diversissime come caratteri e funzioni; la diversità deriva dalle proporzioni in cui sono presenti tali amminoacidi e della loro successione.

Nonostante la varietà delle proteine esistenti in natura soltanto pochissime hanno ricevuto attenzione, al di fuori degli usi alimentari e di quelli dell'industria conciaria e tessile (seta, lana). Poche sostanze proteiche (quelle della caseina, della zeina, dell'arachide) sono state utilizzate per la produzione di fibre artificiali, oggi abbandonate. Eppure ogni anno milioni di tonnellate di proteine derivate dall'industria agroalimentare, dal siero di latte, presenti nei residui dell'estrazione dei grassi, negli scarti della macellazione e delle operazioni conciarie, eccetera, vengono destinate ad usi poveri, come l'alimentazione del bestiame, o la concimazione dei terreni, quando addirittura non sono buttate vie costituendo fonti di inquinamento. Molte di queste proteine sono di origine animale, ricche di amminoacidi essenziali, e potrebbero essere utilizzate per l'integrazione degli alimenti poveri, come quelli che stanno alla base della nutrizione di molti paesi del Sud del mondo.

Le stesse considerazioni sulla fantasia della natura valgono per i lipidi, i costituenti degli oli e grassi di origine vegetale e animale, che pure sono prodotti industrialmente, soprattutto per l'alimentazione umana, in quantità di circa 100 milioni di tonnellate all'anno. Il successo dei tensioattivi sintetici e della glicerina sintetica ha ridotto il campo di applicazione industriale dei grassi naturali: anche qui le considerazioni "ecologiche" hanno riportato in vita, nella detergenza domestica, sia pure limitatamente, alcuni tipi di saponi di origine agricola grazie alla loro biodegradabilità.

Vi sono molte strade aperte per l'utilizzazione, con successo, di coloranti naturali, di gomme e resine, dei terpeni, di molte vitamine e degli steroli, soprattutto in tutti quei casi in cui le proprietà di interesse commerciale sono associate a strutture chimiche abbastanza complicate e non riproducibili per via sintetica.

A puro titolo di curiosità, e come esempio della potenziale ricchezza di moltissimi prodotti quasi sconosciuti del Sud del mondo, si può ricordare la storia della produzione, nel 1951, da parte dell'industria messicana Syntex, del cortisone dalla diosgenina ricavata dalla radice dell'igname messicano; lo stesso gruppo di chimici americani e messicani, operando nel Messico, preparò, sempre nel 1951, dal testosterone il contraccettivo orale noretindrone, "la pillola" (è questo il titolo di un libro di Carl Djerassi, pubblicato da Garzanti, che racconta tutta questa avventura) che avrebbe fatto diminuire il tasso di crescita della popolazione mondiale e rivoluzionato i costumi sessuali di miliardi di coppie. Si tratta di un esempio di come la rivoluzione della biomassa potrebbe far crescere nel Sud del mondo nuove industrie e attività di ricerca e produzione basate su materie locali.

La sfida della natura che offre, nei prodotti vegetali e animali fabbricati ogni anno, con straordinaria regolatrità e puntualmente dal Sole, una così grande varietà e complicazione di sostanze si può accettare soltanto con altrettanta fantasia chimica e di ricerca. Siamo di fronte ad una chimica difficile, ma proprio per questo i chimici e le imprese dei paesi industrializzati potrebbero impegnarsi, usando i raffinati strumenti oggi disponibili, per creare nuove merci, processi e occasioni di occupazione, con vantaggio sia per il Sud sia per il Nord del mondo, ricordando anche che molte soluzioni sono già state trovate e poi sono state abbandonate, con un impoverimento del patrimonio di conoscenze, un processo simile alla perdita del patrimonio di biodiversità.

A questo punto mi permetto rispettosamente di raccomandare di rivolgere attenzione, negli uffici studi, nelle industrie, nelle Università, a quanto potrebbe essere fatto per caratterizzare, scoprire, trasformare, la ricchezza di beni materiali "solari". Una "merceologia solare" che potrebbe cominciare andando a riportare alla luce esperienze e conoscenze del passato, dimenticate e che potranno forse, nei prossimi anni e decenni, dare un contributo per farci uscire dalle trappole di un cammino che per ora continua a manifestarsi insostenibile.

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