La Gazzetta del Mezzogiorno, martedì 31 agosto 2010
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Le attività umane possono svolgersi soltanto utilizzando beni materiali la cui unica fonte è la natura: il cibo per mangiare, il cemento per la costruzione degli edifici, il gasolio per muoversi, i tessuti per difendersi dal freddo, i ventilatori per difendersi dal caldo: tutti richiedono materiali la cui vera fonte è la natura. Anche i servizi, beni apparentemente immateriali, richiedono delle cose fisiche, materiali. Per comunicare con una persona lontana occorre usare un telefono che è fatto di plastica e di semiconduttori e che funziona perché è rifornito di elettricità che scorre su fili di rame rivestiti di plastica e viene da una centrale fatta di acciaio e cemento e alimentata con carbone, prodotti petroliferi o gas, che arrivano alla centrale attraverso navi o tubazioni, provenendo da pozzi o gallerie che affondano la radici meccaniche “nella natura”.
Lo stesso vale per l’acciaio e la gomma dei mezzi di trasporto, per la carta necessaria, per l’informazione, per l’istruzione e per tutti gli altri servizi. Anche altri “beni” come la felicità, la dignità, la libertà, possono essere “goduti” soltanto se si dispone di cose materiali: una casa, acqua pulita, un lavoro, le attrezzature per essere curati se malati, la possibilità di “conoscere” attraverso libri e televisori, tutti oggetti e materie che si possono ottenere soltanto usando e trasformando le risorse biologiche e minerali della natura. Si può ben dire che ogni bene o ogni servizio della nostra vita sociale ed economica si ottiene “mediante natura”.
Sfortunatamente la natura è dispettosa: a mano a mano che ci regala qualcuna delle sue ricchezze ci punisce perché, per usarle, dobbiamo trasformarle e alla fine ci resta fra le mani qualche residuo o scoria o rifiuto di cui possiamo liberarci soltanto rimettendolo nei corpi naturali con sgradevoli effetti: possono essere gas o polveri che finiscono nell’atmosfera e poi nei polmoni, o alterano il clima; possono essere liquami che sporcano i fiumi e ci impediscono di berne le acque o sporcano il mare e ci impediscono di fare il bagno; possono essere mucchi di rifiuti solidi puzzolenti difficili da smaltire. Per attenuare i danni e disturbi provocati dalle nocività ambientali, inevitabilmente associati al godimento delle merci, e dei servizi offerti dalle merci, ogni singola persona, le imprese, i governi devono affrontare dei costi monetari per filtri, depuratori, cambiamenti tecnologici.
Per sapere quanto costano gli inquinamenti provenienti dalla produzione e dall’uso delle merci e dei servizi e su chi ricadono tali costi occorre conoscere “abbastanza” esattamente quanti chili di polveri, gas, liquami e rifiuti solidi accompagnano la produzione e l’uso di ogni chilo di benzina o di acciaio o di patate, di tessuto o di gomma, di ogni chilowattora di elettricità, eccetera. Un bel lavoro che dovrebbe mobilitare chimici, merceologi, statistici, e che dovrebbe fornire ai governanti delle corrette informazioni, se vogliono migliorare per davvero l’ambiente, se vogliono far ricadere equamente i costi in proporzione all’inquinamento che ciascun soggetto economico provoca.
Queste indagini sono l’oggetto della contabilità ambientale, uno speciale capitolo delle discipline economiche e ambientali. Si tratta di integrare le statistiche monetarie, che riportano le quantità di denaro prodotto o richiesto dall’agricoltura, dall’industria, dai commerci, dai trasporti, dalle famiglie, con statistiche sulle rispettive emissioni ambientali. L’Istituto Nazionale di Statistica italiano (Istat) in questi ultimi anni ha pubblicato delle utili tavole (se ne è parlato anche in questo giornale) nelle quali sono indicate, a livello nazionale e regionale, le quantità, in tonnellate o migliaia o milioni di tonnellate, di acidi, polveri, gas, metalli tossici, eccetera, immesse nell’atmosfera, dalle varie attività “economiche”.
Tali dati sarebbero in grado di indicare ai governanti, ma anche alle imprese, se è più utile filtrare i fumi di una acciaieria o quelli di un cementificio, o se è bene obbligare per legge l’uso di carburanti meno inquinanti, o se è meglio bruciare carbone o gas naturale nelle centrali, o se è meglio eliminare i rifiuti con discariche o inceneritori. Nelle tavole ricordate la quantità di agenti inquinanti è indicata al fianco della quantità di denaro associata a ciascun settore e, ancora più importante, a quante giornate di lavoro sono associate a ciascuna attività inquinante.
Proprio nelle scorse settimane l’Istat ha fornito ulteriori informazioni pubblicando il n. 2 del 2010 degli “Annali di Statistica”, un grosso volume di 462 pagine (consultabile anche in Internet), che spiega come ampliare le statistiche ambientali sotto forma di tabelle dette PIOT (Physical Input-Output Tables). In tali tabelle è indicata, oltre alla quantità dei rifiuti generati da ciascun settore economico, anche il peso dei gas atmosferici e dell’acqua, dei minerali e dei prodotti vegetali e animali estratti dalla natura, che “circolano” attraverso i vari settori economici: dalla natura, alla produzione, al consumo, ai rifiuti che ritornano alla natura nell’aria, nelle acque, nelle discariche. Le tabelle PIOT indicano quanta materia, in innumerevoli forme, per centinaia di milioni di tonnellate di merci e di rifiuti, accompagna ciascuno degli innumerevoli scambi di denaro che hanno luogo ogni anno nell’economia italiana. Poiché tutta la materia che entra nei cicli economici non può sparire e da qualche parte si deve ritrovare, tali tabelle, fra l’altro, consentirebbero di svelare tutte le attività ambientali clandestine o fraudolente.
Per avere delle tabelle PIOT continuamente aggiornate c’è ancora molto da lavoro da svolgere nella pubblica amministrazione e nelle Università e fa piacere vedere citate dall’Istat le ricerche degli studiosi di Merceologia dell’Università di Bari, impegnati da molti anni in queste indagini. C’è da sperare che il nuovo volume dell’Istat finisca sul tavolo di ministri, presidenti di regione, sindaci e assessori: dovrebbe essere un successo editoriale ! Speriamo anche che lo leggano.
martedì 31 agosto 2010
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